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Eni, Tap, South Stream. Le priorità strategiche secondo Alberto Clò

Con una dichiarazione forse non così inaspettata, il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha annunciato, mercoledì 19 novembre, che South Stream, il gasdotto che dovrebbe portare gas dalla Russia attraverso l’Europa aggirando l’Ucraina, e in cui è impegnata l’italiana Eni, “è utile, ma forse non più nella lista delle priorità”. In un’ottica di diversificazione delle risorse energetiche della Penisola, ad esso verrebbe preferita la Tap, la pipeline che condurrà l’oro blu azero in Italia.

Alberto Clò – uno dei massimi economisti esperti di energia, già ministro dell’Industria ed ex consigliere di amministrazione dell’Eni, oggi supervisor del Rie (Ricerche industriali ed energetiche) e direttore responsabile della rivista Energia – in una conversazione con Formiche.net spiega perché, malgrado le tensioni geopolitiche tra Occidente e Cremlino, South Stream è ancora un’infrastruttura energetica indispensabile.

Professor Clò, il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha detto che South Stream potrebbe non essere più strategico per l’Italia. Cosa ne pensa?

Partiamo da una premessa. Pur essendo un’azienda a controllo statale, Eni ha una partecipazione dominante di azionariato privato, il 70% circa. Solo il Cane a sei zampe può decidere cosa fare nel suo specifico interesse del gasdotto South Stream. Certo, a Palazzo Chigi spetta un ruolo di coordinamento e programmazione nazionale, ma non sta al governo decidere se realizzarlo o meno. Dalle Istituzioni ci si aspetterebbe, piuttosto, una più attenta definizione di quel che è il nostro interesse nazionale nel lungo periodo. Di quel che debba intendersi per “strategico”. Sia nel documento della SEN del marzo 2013, che nel vertice G7 dei primi di maggio e ancora a giugno, il governo aveva sostenuto il carattere “strategico” del South Stream. Perché abbia cambiato idea non mi è noto.

Crede che, governo a parte, la strategia di Eni su South Stream potrebbe cambiare? Anche Descalzi pare aver tracciato una linea oltre la quale non andare, come scritto da Formiche.net.

Sarà Eni, ripeto, a decidere se è nel suo interesse. In questo mosaico manca un pezzo, che aiuta a comprendere su cosa potrebbe basarsi. Il crollo del prezzo del petrolio di circa un 33% da giugno ad oggi, rischia di incidere pesantemente sugli investimenti delle imprese petrolifere – così come accadde dopo la crisi del ’97-’99, in particolare delle Big Oil. Gli investimenti già in corso di realizzazione difficilmente saranno messi in discussione. Ma su quelli come South Stream, ancora da fare, penso che sarà avviata un’attenta riflessione sugli scenari futuri del metano, sulla sostenibilità economica del progetto, sulla sua compatibilità con la complessiva strategia del gruppo. Così come credo che Eni vi abbia inizialmente aderito per le sue strette relazioni commerciali con Gazprom, allo stesso modo credo che, su un suo possibile ripensamento, non incideranno le dinamiche geopolitiche in corso di cui, forse, si preoccupano di più i governi.

Come coniugare, allora, la sicurezza energetica del nostro Paese con le minacce di Putin alla stabilità dell’Europa?

Non entro nel merito di quanto accade politicamente in Ucraina, ma sottolineo un aspetto. La crisi di Kiev ha accelerato un accordo che molti osservatori hanno sottovalutato, ma che ritengo sintomatico di un possibile forte cambiamento prospettico. Mosca e Pechino hanno da poco firmato un accordo sul gas, atteso da decenni. Non è un caso che sia accaduto ora. Alla ripetuta intenzione espressa dall’Unione Europea di voler ‘diversificare le importazioni’ di metano dalla Russia, Putin ha risposto decidendo di ‘diversificare le sue esportazioni’, dirottandole nel tempo verso la Cina. Morale della favola: alzare i toni dello scontro non serve a nessuno, ma in particolar modo all’Europa, che abbisogna in futuro di accrescere le sue importazioni di metano (per il calo della produzione interna). Da dove proverranno queste quantità addizionali (volendo escludere la Russia) è questione non facile a risolversi, mentre mi sembra che Bruxelles navighi a vista.

Crede che, se archiviasse South Stream, Eni potrebbe pensare ad entrare in Tap?

Si tratta di due progetti diversi e non alternativi. Non mi sembra, comunque, che esistano i presupposti per un coinvolgimento di Eni nel progetto TAP (sempre che si riesca a fare). Io faccio però una valutazione di carattere più generale. È innegabile che Europa e Russia abbiano bisogno l’una dell’altra. Se non ci fosse stato il gas di Mosca, la crisi libica ci avrebbe messo in ginocchio. Né il gas che arriverebbe dall’Azerbaijan (quello della Tap, ndr), pur utile a rafforzare le nostre linee di rifornimento, potrebbe essere sufficiente a sostituirlo. Penso che la cooperazione più che lo scontro sia nell’interesse di tutti.



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