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Vi spiego perché il centrodestra è destinato a una lunga camminata nel deserto

 

La prima condizione per ragionare di politica è essere realisti. E la realtà oggi presenta un quadro politico della cosiddetta area di centrodestra veramente disarmante. A determinare tale situazione sono molti complessi fattori sia interni che esterni, e purtroppo non dei semplici accadimenti estemporanei.

In primis vi è la potenza renziana, ossia la specificità di una leadership forte che pur essendo solidamente seduta a Palazzo Chigi tiene ben saldo il timone del Partito Democratico. Questa particolare combinazione moderato-progressista crea ovviamente un’anomalia di consensi nel centrodestra, a dire il vero non sfondando neanche completamente nel centrosinistra.

È difficile fare opposizione, d’altronde, ad un signore che fa la politica che avresti dovuto fare tu senza esserci riuscito, sebbene sia difficile per lui fare da socialista una rivoluzione liberale. E la situazione va a tutto danno dell’opposizione e a poco vantaggio della maggioranza.

Inoltre, a rafforzare la fragilità e il caos del centrodestra, ci pensano anche molti fattori endemici, il primo dei quali è, più ancora del frazionamento dell’ex PDL, la distinzione tra chi sta al governo e collabora col premier e chi invece se ne sta tenuemente all’opposizione, tralasciando ovviamente gli indifferenti e gli opportunisti. Una frattura, tra l’altro, che è trasversale, percorrendo sia le forze centriste che quelle forziste. L’ambiguità di Berlusconi, il quale da un lato sostiene Renzi e dall’altro lo critica anche duramente sul programma economico, è conseguenza ed effetto di tale disorientamento generale. Bisogna dire che, più in profondità, l’elettorato stesso di centrodestra ormai oscilla tra chi è divenuto renziano per necessità o anche per rassegnazione, chi lo è per valutazioni economico-finanziarie e chi invece resta irriducibilmente avverso al segretario PD per impostazione ideologica (sempre meno).

Vi è, poi, anche un secondo motivo, più di merito, della crisi moderata, che riguarda le posizioni espresse dalla Lega, ormai trasformatosi in partito di destra anti europeista e anti euro. Sono lontani, infatti, i tempi della delocalizzazione del Carroccio. Salvini è sempre più diventato unico rappresentante e interprete italiano del radicalismo reazionario emotivo, con tutte le contraddizioni che le tesi sostenute hanno anche negli altri Paesi: una grande presa sulla gente, cioè, accompagnata però da un difficile riutilizzo produttivo di tali sentimenti di sdegno e ribellione anti sistema dal punto di vista politico.

Visto e considerato il ginepraio non è difficile comprendere, quindi, perché, sebbene la maggioranza perda consensi, il centrodestra non li aumenti. La ragione è, tutto sommato, semplice: una linea popolare di massa in Italia, in questo momento, non esiste proprio, e Renzi tenta di salvare disperatamente capre e cavoli.

Il paradosso è che egli personalmente si rafforza senza far crescere il centrosinistra, anzi spaccandolo internamente, e dall’altra parte non vi sono fatti e persone che facciano presagire nulla di alternativo nell’immediato. Anche le operazioni messe in piedi da Corrado Passera, per nulla negative in sé, non creano e non distruggono nulla, perché non sono di matrice essenzialmente politica, come invece lo è il procedere in avanti del presidente del Consiglio e, a suo modo, quello della Lega. D’altronde, anche se molte cose dette dai Lumbard sono giuste (immigrazione, perdita di sovranità, eccetera) da solo un partito localista non può inscenare alcuna competizione valida alla sinistra, specialmente in un Paese come il nostro che non ha un estremismo di destra di massa e che non può permettersi il lusso di isolarsi dall’Europa. Per fare una cosa del genere ci vorrebbe, infatti, tanto consenso e tanta forza che ad oggi Salvini non ha.

A ben vedere, infine, perfino comunicare qualche boutade sul quoziente elettorale familiare non serve praticamente a nulla, come ha ben detto Stefania Craxi, perché il problema è viceversa mettere in atto una politica economica e sociale a favore della famiglia, un obiettivo che non passa lontanamente neanche nell’anticamera del cervello dei renziani e che tanti anni di berlusconismo non sono riusciti neanche a proporre.

Non c’è altro motivo, in buona sostanza, per cui buone iniziative come Sveglia Centrodestra siano finite per essere eventi unicamente di tipo culturale senza una tangibile influenza politica, almeno per ora. In questo momento bisogna contentarsi, alla fin fine, solo di attendere, consolidare e diffondere i propri ideali, sapendo che la cornice complessiva e il contesto storico presente non permetteranno di ergere a breve alcuno scenario diverso e accattivante opposto al renzismo.

Il centrodestra soffre, in definitiva, perché in questi vent’anni non ha elaborato alcuna idealità popolare e liberale alternativa al socialismo, e più ancora perché al suo interno vi sono personalità che, nonostante la militanza lunga in Forza Italia e nel PDL, non sono né moderati, né conservatori.

Bisogna pazientare, insomma, e vedere che succede, non disperando nel frattempo se molti centri di potere, tradizionalmente anti sinistra, passino dall’altra parte. È normale che ciò accada. Il capitale sociale e economico del Paese, quando sarà il momento, tornerà indietro, appena vi sarà una minima possibilità seria di rottamare Renzi. Prima di allora, invece, è impensabile anche solo immaginarlo.

In un momento tanto duro è indispensabile, in conclusione, avere valori solidi e coerenza, non velleità trasformista e ostracismo. Perché questa è la camminata nel deserto che oggi impone la storia. Una realtà che non rende né semplice né agevole ripristinare il centrodestra perduto.


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