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I Cinque Stelle che lasciano il Movimento di Grillo sono coerenti o voltagabbana?

“Voglio sentirmi sereno e orgoglioso di lavorare per un progetto politico nel quale riconoscermi e attraverso il quale operare. Oggi questa condizione nel Movimento Cinque Stelle non c’è più”.

Polemizzando apertamente contro la scelta di promuovere un referendum consultivo per l’abbandono dell’Euro-zona, il parlamentare penta-stellato Tommaso Currò ieri ha votato a favore della risoluzione della maggioranza sulle politiche europee del governo Renzi. E ha preannunciato la fuoriuscita dalla formazione creata da Beppe Grillo.

Una scelta inedita

Non si tratta della prima defezione, né probabilmente dell’ultima. Ma la decisione assunta dal deputato siciliano mette in rilievo un elemento singolare e inedito nella tempestosa vicenda dei gruppi M5S a Montecitorio e Palazzo Madama.

Fino ad oggi nessuno degli esponenti Cinque Stelle aveva così esplicitamente legato la scelta di lasciare a una convinta adesione alle strategie del Partito democratico. Esattamente la forza che più di ogni altra ha costituito il bersaglio della virulenta campagna portata avanti dal comico ligure.

Parole pesanti contro il Pd

È facile ricordare come alla vigilia del voto per il Parlamento europeo Grillo tuonasse contro “il dilagare della ‘peste rossa’ frutto degli intrecci affaristici che a partire dalla bufera Monte dei Paschi di Siena vedevano coinvolte figure vicine al Nazareno”. Tesi ribadita nella giornata finale della kermesse penta-stellata di ottobre al Circo Massimo.

Mandato imperativo?

Altro punto ricco di implicazioni politiche è riassunto nelle parole con cui il presidente del gruppo Cinque Stelle alla Camera dei deputati Andrea Cecconi ha reagito all’ultima defezione: “Gli eletti del M5S sono entrati in Parlamento con un mandato chiaro da parte dei cittadini. Se Currò non ha intenzione di onorare questo patto viene meno ai principi del movimento. Quindi è giusto che si dimetta”.

Il tema dell’automatismo tra abbandono della compagine istituzionale penta-stellata e rinuncia al ruolo di parlamentare aveva alimentato un aspro confronto, nel mondo politico e accademico, sul concetto di mandato imperativo.

Invocato da Grillo come vincolo salutare per un controllo popolare e trasparente dell’iniziativa dei rappresentanti, tale nozione di matrice giacobina – che pure non ha trovato riscontro nel Codice di comportamento dei parlamentari Cinque Stelle – è stata respinta come “preludio a torsioni totalitarie e anti-liberali” da parte di costituzionalisti e politologi.

Un panorama variegato a Montecitorio

Una lettura rigorosa e integrale del principio evocato dal capogruppo Cinque Stelle a Montecitorio coinvolgerebbe numerosi parlamentari che hanno abbandonato le fila penta-stellate.

Alla Camera dei deputati sono confluiti nel gruppo Misto – pur senza abbracciare alcuna componente politica – Alessandro Furnari, Alessio Tacconi, Massimo Artini, Paola Pinna e Vincenza Labriola. La quale per un breve periodo aveva aderito alla compagine “Libertà e Diritti” formata dai fuoriusciti di Sinistra e Libertà.

Formazione in cui ha fatto ingresso Adriano Zaccagnini, mentre Ivan Catalano ha optato per la rappresentanza del Partito liberale.

La mappa dei fuoriusciti a Palazzo Madama

Al Senato hanno compiuto la scelta per il gruppo Misto Monica Casaletto, Cristina De Pietro, Paola De Pin, Adele Gambaro, Marino Mastrangeli, Luis Alberto Orellana.

Alessandra Bencini, Bartolomeo Pepe, Laura Bignami, Maria Mussini e Maurizio Romani hanno dato vita al “Movimento X”. Mentre Fabrizio Bocchino e Francesco Campanella hanno aperto il cantiere di “Italia Lavori in corso”.

Pienamente inserita nell’alveo politico tradizionale la confluenza di Lorenzo Battista nel gruppo delle Autonomie con minoranze linguistiche e Partito socialista. Più sorprendente, infine, la decisione di Fabiola Anitori di aderire ad “Area Popolare” formata da Nuovo Centro-destra e Unione di Centro.


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