Un garbato duello a colpi di fioretto che riflette un radicale dissenso di visioni sul rapporto tra informazione, politica e populismo anti-Casta. Così può essere letto il confronto tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che dall’Accademia dei Lincei ha lanciato strali contro “i giornali paludati partecipi dell’ondata di anti-politica”, e il Corriere della Sera che con Antonio Polito ha richiamato le responsabilità originarie della degenerazione del mondo partitico.
La reazione delle grandi testate giornalistiche all’intervento del Capo dello Stato ha provocato sul Foglio una riflessione al vetriolo da parte di Claudio Velardi, fondatore de Il Rottamatore, consigliere politico di Massimo D’Alema nel 1998 e oggi convinto supporter di Matteo Renzi. Per capirne di più Formiche.net ha interpellato proprio l’esperto dei rapporti tra lobbying e comunicazione istituzionale.
Perché critica l’atteggiamento della stampa verso le parole pronunciate da Giorgio Napolitano?
Si tratta di una risposta censoria terribile. Il Presidente della Repubblica non ha detto cose leggere riguardo le responsabilità dei grandi giornali nel promuovere e favorire le derive dell’anti-politica. Una realtà mediatica rigorosa le avrebbe prese sul serio, aprendo un ampio dibattito magari per contestarle apertamente. È prevalso invece un silenzio un po’ sovietico.
Per quali ragioni?
La stampa italiana si ritiene intoccabile. E l’attuale inquilino del Quirinale è in procinto di lasciare l’incarico. Per cui cambia radicalmente l’atteggiamento di chi fino a poco fa si mostrava accondiscendente e deferente nei suoi confronti. Comportamenti che in entrambi i casi non sono segno di libertà. È un tema che riguarda la classe dirigente dell’informazione italiana e la sua credibilità.
Le grandi testate utilizzano toni e contenuti che alimentano anti-politica e giustizialismo?
Non vi è dubbio. La cronaca giudiziaria ha costituito il propellente per una miscela che ha ha condizionato una stagione ventennale, coincidente con la seconda Repubblica. L’anti-politica alberga in tutto il mondo contemporaneo globalizzato. Ma altrove tali fenomeni si riescono a governare, mentre in Italia dal 1992 un circuito mediatico-giudiziario ha posto sotto processo un’intera classe di governo. Ricordo l’avviso di garanzia nei confronti di Silvio Berlusconi anticipato nell’autunno 1994 dal Corriere della Sera. Al contrario, nei giornali non accade nulla quando chi è stato messo alla gogna viene prosciolto.
Ma le manifestazioni di illegalità dilagano in Italia…
Il problema è che le fattispecie criminali, ramificate in modo capillare ovunque, vanno colpite nei processi. Mentre in tv si celebrano troppe volte processi anticipati. È un tema che coinvolge tutti i cittadini. E il giornalismo non può pretendere di tirarsi fuori, volendo fare la parte dell’osservatore. Tanto più nei confronti del mondo politico, visto il frequente trasmigrare di molte firme di spicco tra le istituzioni e l’informazione.
L’ex vice-direttore del Corriere della Sera oggi parlamentare del Partito democratico Massimo Mucchetti ha parlato della “volontà di Paolo Mieli e Luca di Montezemolo di promuovere una serrata campagna anti-Casta, che tuttavia avrebbe creato il terreno fertile per l’exploit di Beppe Grillo”.
Spesso le chiacchiere dei giornalisti finiscono dentro un ristorante. E non producono risultati concreti, se non quello di far esplodere l’anti-politica che alla fine danneggia tutti. Peraltro il nostro universo tende a esagerare ciò che riguarda la politica e la comunicazione. Mentre la vita delle persone comuni scorre su altri binari. Anziché soffiare sul fuoco aggravando ogni tensione, dovremmo affrontare i loro problemi con concretezza.
Attribuire all’oggetto dell’indagine “Mondo di mezzo” una connotazione mafiosa già nella fase preliminare non rischia di gettare discredito internazionale sull’Italia?
È un elemento aberrante. Perché in un paese normale non si mettono i nomi su inchieste giudiziarie che devono essere svolte in silenzio. L’obbligo dei magistrati della Procura di Roma è allestire un processo serio affinché i giudici condannino i responsabili e assolvano gli innocenti. E non utilizzare parole a effetto che il giorno seguente vengono utilizzati nei mass media per proclamare una condanna definitiva dal punto di vista mediatico. Tanto più pesante, visto che non si sa quando avrà inizio il dibattimento.