Era il grande fantasma che aleggiava sull’Assemblea nazionale del Partito democratico. Una resa dei conti definitiva tra Matteo Renzi e la minoranza interna che avrebbe trovato sbocco in una rottura traumatica.
La tanto temuta scissione, parola evocativa di una lunga storia politica della sinistra italiana ed europea, non è arrivata. Ma toni e accenti utilizzati all’Hotel Parco dei Principi di Roma confermano l’esistenza di radicali dissensi difficilmente componibili.
“La sinistra Pd non può mandare sotto il governo sulle riforme”
Nell’intervento di apertura Matteo Renzi ricorda le vittorie elettorali del 2014, “che hanno tolto a Beppe Grillo la centralità nell’agenda politica”, e l’attività di auto-finanziamento e rigorosa gestione delle spese che “ha portato in pareggio il bilancio del Nazareno senza licenziare né mandare nessuno in cassa integrazione”.
Adesso la priorità del premier è l’affermazione del primato della politica sulla tecnica. Innanzitutto nell’Unione Europea “ridotta a vincolo contrattuale costruito su parametri finanziari di austerità indifferenti al tema della crescita”. E un cambiamento culturale per il rilancio del protagonismo dell’Italia nel mondo. Rispetto a tali sfide, spiega il Presidente del Consiglio, il Pd non vuole trasformarsi in “partito della nazione” né mettere in atto una mutazione genetica.
L’obiettivo è realizzare le riforme attese da vent’anni e mai tradotte in realtà: “A partire da quella istituzionale ed elettorale, che rientrano nelle tesi originarie dell’Ulivo. Per cui non è accettabile mandare in minoranza il governo su un progetto di revisione costituzionale concordato nelle riunioni ufficiali del partito”.
I risultati dell’azione di governo
Renzi rivendica il valore di “un Jobs Act innovativo e coraggioso”, che spera venga letto senza lenti ideologiche. Un piano, osserva, che riduce il costo statale delle retribuzioni e coniuga flessibilità con ammortizzatori finalizzati alla formazione e reinserimento lavorativo.
Ribadisce il carattere “nettamente di sinistra” della restituzione degli 80 in busta paga per i cittadini che guadagnano fino a 1.500 euro mensili. Rimarca l’esigenza di una riduzione radicale della montagna di arretrati nella giustizia civile. Ricorda l’intervento legislativo che aumenta le pene minime per i reati di corruzione e impone la restituzione integrale del maltolto.
Per questo motivo punta il dito contro “chi lucra sul dolore degli emarginati e immigrati”. Chiedendo tuttavia ai magistrati di Roma di arrivare presto ai processi sull’inchiesta “Mafia Capitale”, “per fare chiarezza tra chi ruba e chi no evitando il calderone in cui tutti sono eguali”.
Libertà civili, politica industriale, bonifica del territorio
L’ex primo cittadino di Firenze preannuncia una “stagione di diritti” fondata su riconoscimento dello “ius soli temperato” per i ragazzi che hanno svolto un ciclo educativo e della “civil partnership” per le coppie di fatto.
Promette un provvedimento ad hoc per l’intera area di Taranto “e non limitato al futuro dell’Ilva”, e interventi per il risanamento dei territori che hanno sofferto degli effetti dell’amianto. Quindi prospetta “un nuovo modello fiscale che pone amministrazione pubblica e contribuenti in un piano di collaborazione e non ostilità”.
Riforme su cui il premier non intende “cedere di un centimetro né andare al rallentatore restando fermo nella palude provocata dai diktat della minoranza del Pd”.
La minoranza Pd tra silenzi, recriminazioni e rivendicazioni
E le risposte della minoranza giungono puntuali, pur nella forma eterogenea che caratterizza il suo panorama.
Mentre Giuseppe Civati sceglie di non intervenire, Francesco Boccia chiede a Renzi “se nella riforma del lavoro priva delle risorse adeguate per ammortizzatori attivi universali vi sia traccia del riformismo radicale”. E invoca un “prelievo fiscale rilevante e adeguato” per i giganti dell’economia digitale.
Alfredo D’Attorre rivendica il lavoro realizzato dalla minoranza del Pd in Commissione Affari costituzionali di Montecitorio, “che non può essere liquidato come trucchetti e imboscate parlamentari”. E caldeggia una svolta profonda nelle politiche europee in grado di evitare il collasso dell’architettura monetaria.
Ascoltare la piazza sindacale
Argomentazioni che riecheggiano le inedite convergenze registrate tra gli economisti critici della moneta unica e due rappresentanti di spicco della sinistra Pd.
Il primo è Gianni Cuperlo, il quale punta il dito contro una nuova formulazione dell’Articolo 18 “che monetizza i licenziamenti economici fraudolenti” e ha provocato uno sciopero generale di grandi dimensioni. “Manifestazione che i vertici del Nazareno hanno ignorato, anche se in quelle piazze vi è la ragione della nascita della nostra identità politica”.
Una scelta grave, rimarca Stefano Fassina, che fa perdere del tutto al Pd la rappresentanza di una fascia di cittadinanza fondamentale: “Autentica mutazione genetica che ci trasforma in partito dell’establishment, il quale attua le direttive della Troika improntate alla svalutazione del lavoro. Altro che direzione scandinava di un Welfare innovativo e universale!”
Renzi vuole il voto anticipato?
Poi l’affondo contro il premier: “Le persone che nutrono tesi differenti da quelle di Renzi non possono subire una delegittimazione morale attraverso caricature non corrispondenti alla realtà, che puntano a tornare al voto anticipato per emarginare la minoranza e il dissenso interno”.
“Ascoltare il popolo dello sciopero sindacale e riaprire un tavolo di confronto con le parti sociali che pure devono colmare carenze di rappresentanza” è l’esortazione lanciata da Cesare Damiano.
Il quale richiama l’esigenza di aumentare le risorse per una copertura universale delle persone che restano prive di lavoro. E di tagliare i contributi notevoli – il 33 per cento della retribuzione – previsti per i lavoratori “partite Iva” che in realtà svolgono un’attività professionale dipendente.
La replica dei renziani
Ragionamenti cui replicano gli esponenti della maggioranza del Nazareno. A partire da Giorgio Tonini, per il quale le organizzazioni sindacali devono accettare un profondo rinnovamento in senso riformista e autonomista come nel Nord Europa.
Prospettiva che ha attratto nel Pd Andrea Romano: “Finalmente stiamo creando il partito della terza Repubblica. Una formazione politica con base elettorale e sociale mutevole, articolata, plurale. E che deve allontanare il rischio di chiusura identitaria”.
Una sinistra, precisa Piero Fassino, che non abbia paura del cambiamento e riesca a rovesciare l’impostazione tecnocratica con cui fino a oggi è stata realizzata l’integrazione europea: “Nella consapevolezza della naturale dialettica delle forze sociali che hanno promosso lo sciopero di venerdì”.
“Renzi ha tentato di cambiare l’austerità europea”
Una posizione intermedia viene espressa da Roberto Speranza, a giudizio del quale il Partito democratico non può diventare “luogo di scontro su riforme cruciali, dal lavoro alla Carta costituzionale. Né portare avanti il muro contro muro con le organizzazioni sindacali”.
Ragionamento differente è svolto da Matteo Orfini, che rifiuta l’orizzonte del “partito della nazione” così come il rapporto privilegiato le sigle confederali: “Realtà nelle quali le esigenze del mondo precario e isolato cui vogliamo dar voce non hanno mai trovato espressione e risonanza”.
Per il presidente del Pd è una pessima caricatura affermare che il governo attua le strategie della Troika: “Renzi ha tentato di cambiare le strategie economiche europea, al contrario degli esecutivi Monti e Letta. Ed è ingiusto utilizzare nei suoi confronti toni che non vengono utilizzati neanche dagli esponenti dell’opposizione”.
“Il Pd è differente dalla Cgil”
Un assist formidabile per il premier. Il quale nella replica finale valorizza il principio del compromesso nella cornice della sfida riformatrice alla minoranza del Nazareno.
Esortando il Pd alla “competizione fondamentale contro una destra che ha scelto la strada populista e anti-europea”, Renzi ricorda che non una manifestazione confederale è stata promossa contro gli interventi del governo Monti-Fornero. Rifiuta di riconoscere ai sindacati un potere di veto per l’azione del governo, pur ritenendoli interlocutori preziosi per la risoluzione delle crisi aziendali. E rivendica la natura politica di una formazione capace di declinare la parola “sinistra” in molteplici forme.
Rivolgendosi a Fassina, il numero uno del Nazareno rassicura sulla volontà di giungere al voto nel 2018. Per questo riconferma l’opzione per una riforma elettorale in grado di garantire alla singola forza vincente una maggioranza di 340 parlamentari.