Nell’intervista rilasciata a Paolo Valentino sul Corriere della Sera Massimo D’Alema ha bocciato l’attualità della “Terza Via”, propugnata a metà anni Novanta da filosofi ed economisti che ricercavano una sintesi felice tra economia di mercato e giustizia sociale.
Filone culturale associato alle esperienze di governo di Bill Clinton negli Stati Uniti e Tony Blair in Gran Bretagna. Un parallelismo rifiutato da Luciano Pellicani, politologo e sociologo dell’Università Luiss “Guido Carli”, artefice della riscoperta del socialismo liberale e federalista nel corso della polemica contro l’ortodossia marxista alla fine degli anni Settanta.
Massimo D’Alema accusa la “Terza Via” di Clinton e Blair di aver contribuito, attraverso liberalizzazioni estreme, enormi diseguaglianze sociali e grave instabilità economica, alla crisi del 2008.
È quanto avvenuto negli ultimi decenni. Ma cosa c’entra la “Terza Via” con la completa apertura dei mercati di capitali promossa negli Usa da Ronald Reagan e nel Regno Unito da Margaret Thatcher? Strategia rivelatasi fallimentare, come riconoscono non tanto studiosi socialisti bensì liberali di sinistra intelligenti come Paul Krugman, Joseph Stiglitz, George Soros. A giudizio dei quali il mercato non può regolare tutto, è un meccanismo iniquo e spesso produce disastri.
L’opera di Clinton e Blair in quale orizzonte si proietta?
Nella cornice liberista di mercato auto-regolato propugnata dai loro predecessori repubblicani-conservatori. Atteggiamento culturale che li portò a realizzare robusti sgravi fiscali per i ceti abbienti, secondo la teoria della ricchezza che si riverbera a cascata sull’intera comunità. Ma che al contrario ha prodotto la classe sempre più vasta dei “lavoratori poveri”. Peraltro vi è un elemento singolare.
Quale?
L’ex primo ministro britannico appartiene a una tradizione laburista che si è sempre caratterizzata per il tentativo di coniugare liberalismo e socialismo. La sinistra non comunista da oltre cento anni ha puntato a far incontrare giustizia e libertà. Era questo il nome e la parola d’ordine del movimento creato da Carlo Rosselli nel 1929.
Le sue formulazioni hanno trovato applicazione?
Sì, in Svezia, Danimarca e parzialmente in Germania. Realtà che si sono trovate protette rispetto alla violenta crisi proveniente da Oltreoceano. Mentre il resto d’Europa a partire dall’Italia è stata coinvolta duramente per aver consumato più di quanto avesse prodotto. E D’Alema, che oggi parla come se ne fosse estraneo, è corresponsabile di un fenomeno del genere.
La “Terza Via” fu abbracciata da D’Alema quando era premier. Non è singolare che oggi venga bocciata in modo così impietoso dalla stessa persona?
L’ex leader dei Democratici di sinistra doveva legittimare se stesso e il partito post-comunista storicamente riconosciuti come nemici del mercato e degli Usa. Operazione analoga a quella realizzata sul versante di destra da Gianfranco Fini. Ma fu un’iniziativa ispirata da ragioni opportunistiche. Così come sono strumentali le argomentazioni utilizzate ora contro un unico obiettivo.
Certo. D’Alema non ha mai accettato la propria emarginazione dalle scelte strategiche ad opera di chi attualmente detiene lo scettro del Partito democratico. La sua aspirazione è ritagliarsi uno spazio futuro e creare una piattaforma politica contro il premier. Accusato di voler riproporre un modello risalente a 15 anni fa in virtù dell’appoggio ricevuto da Blair per le riforme economico-sociali portate avanti dall’esecutivo.
L’ex Presidente del Consiglio rilancia lo Stato come “forza propulsiva per lo sviluppo”.
Rilevo una palese contraddizione nel suo ragionamento. Perché il concetto rientra nell’ottica della “Terza Via”: Sì all’economia di mercato, No a una società di mercato. Una filosofia che ha prefigurato l’esigenza di un intervento pubblico nel processo economico per stimolarlo e rimuovere le diseguaglianze. Non a caso cresciute in modo abnorme nella società americana degli ultimi trent’anni.
L’ennesima stroncatura della “Terza Via” rischia di offuscare il socialismo liberale a vantaggio delle visioni stataliste?
Ritengo di sì. Gli esponenti del Partito comunista italiano non hanno mai avuto il coraggio di riconoscere che, dagli anni Settanta in poi, i socialisti avevano ragione e loro torto marcio. Poi approfittarono della scomparsa del Psi con Mani pulite per accreditarsi come unica forza progressista. Basti pensare che Walter Veltroni non citò neanche un socialista tra i padri fondatori del Pd. Mentre servirebbe un po’ di onestà per creare una sinistra europea degna di questo nome.