Apprezzo sempre Stefano Cingolani e leggo con gusto i suoi pezzi permeati da una visione sofisticata della storia economica del Paese.
Sarebbe stato difficile fare meglio di Saccomanni? Facile dire no, con il senno di poi e con l’atteggiamento da Cassandre che ci caratterizza come economisti, me compreso.
Vero è che l’Europa è cambiata assieme all’Italia, anche di fronte all’evidenza dei dati che testimoniano come e quanto l’austerità abbia fallito: è dunque difficile separare quanto cambiamento è dovuto al “coraggio” del collega Padoan e quanto al timore europeo che la Grecia o l’Italia sfuggano di mano a causa delle loro recessioni.
Ma la domanda vera è un’altra: siamo cambiati a sufficienza?
I dati sembrano dipingere un quadro decisamente diverso da quello piuttosto roseo di Stefano Cingolani. E’ di pochi giorni fa l’inizio dell’abituale dérapage dello stime di crescita del PIL, stavolta del governo Renzi come allora dei suoi predecessori: dopo il fallimento del primo DEF 2014 dello scorso aprile dove era indicata una crescita di fine anno pari allo 0,8% chiusasi con un terzo anno di recessione consecutiva al -0,4% (ma chi sbaglia le previsioni di 1,2% in 6 mesi? Nemmeno uno studente di economia!) adesso ci troviamo con una stima governativa 2015 già poco ambiziosa dello 0,6% che sin da gennaio la Banca d’Italia ha aggiornato allo 0,4%, contornandola di ipotesi ottimistiche su andamento del commercio mondiale, prezzo del petrolio, ripresa degli investimenti. Il quarto anno di recessione consecutiva, con la connessa appendice della abbinata crescita del rapporto debito pubblico-PIL, è dunque alle porte. E questo è frutto della politica portata avanti dall’Europa e che l’Italia sottoscrive con tenui distinguo. Dovremo aspettare la ben più coraggiosa (e disperata) Grecia per importare coraggio e cambiamento?
E’ lo stesso Bollettino Economico della Banca d’Italia a ricordarci il perché con un dettagliato ed utile riassunto del nuovo paradigma di politica fiscale che – al contrario di quanto da alcuni sostenuto – conferma pienamente il Fiscal Compact e la sua stupida austerità, e a poco vale dire che vi è “maggiore flessibilità”: la pressione fiscale nel 2015 e 2016 aumenterà (audizione Banca d’Italia) e il deficit pubblico scenderà velocemente verso il bilancio in pareggio. E’ scritto sulla pietra dei documenti ufficiali del Tesoro ed è proprio questa la perversione gigantesca del Fiscal Compact: quella di influenzare le aspettative degli operatori negativamente per un periodo di tempo lungo a sufficienza da coincidere con quello lungo il quale valutano il ritorno dei loro potenziali investimenti, portandoli a desistere. Sperare di fare impresa in Italia senza domanda interna sostenuta dal settore pubblico è diventata pia e velleitaria illusione.
Il fallimento di Padoan si misura anche nelle scelte concrete a sostegno del progetto Italia. Dice Cingolani: “La spending review è stata accantonata, ma sarebbe un errore cancellarla”. Non un errore tout court, un disastroso e marchiano errore, il più grande di tutti. Perché era solo da una intelligente spending che si sarebbero trovate le risorse per dare il segnale di sblocco all’ottimismo: ma oramai è chiaro che la domanda chiave che dobbiamo porci è perché nessun Governo è interessato ad essa, Renzi-Padoan compreso. E la risposta non può essere che una: troppi interessi particolari nel mondo degli appalti rendono la madre di tutte le riforme poco conveniente ai nostri politici, punto e basta. Sul suo sito Cantone ci ricorda come la sua Autorità farà di più, nel 2015, con 47.210.598 euro complessivi, contro i 62.965.600 euro del 2014. Un taglio del 25%, invece che una conferma delle stesse risorse ed una richiesta di spenderli meglio: che messaggio pensiate sia questo, uno di appoggio al magistrato per una lotta senza se e senza ma alla corruzione?
Con i soldi della spending avremmo potuto anche rispondere alla giusta domanda di Cingolani: “e poi ci sono gli statali. I loro stipendi e i loro organici sono bloccati da cinque anni. Quanto può durare?”. Poco importa quanto può durare, purtroppo, i risultati sono davanti agli occhi di chi vuole vedere. Le università e le scuole non si riformano senza soldi per attrarre i migliori docenti a insegnare ai giovani. La polizia non scova i ladri senza giovani leve che gli sappiano correre dietro. Il territorio e il nostro patrimonio non si abbelliscono, proteggono e rendono attrattivi senza mantenerli. L’idea che si possano fare investimenti pubblici senza quattrini – trovati nel taglio degli sprechi – è penosa e sta condannando il Paese alla morte per mancanza di produttività.
Un Ministro dell’Economia che veramente volesse far tornar a viaggiare il nostro Paese saprebbe bene come fare: “Con un cacciavite in mano” si fanno miracoli, cantò anni luce fa Lucio Battisti.