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Perché è un suicidio essere pacifisti

“Lo stato di guerra è uno stato di inimicizia e distruzione. E perciò chi dichiara con parole o azioni un proposito meditato riguardo alla vita di un altro uomo si pone in uno stato di guerra contro colui al quale ha dichiarato una tale intenzione, essendo giusto e ragionevole che io abbia il diritto di distruggere chi mi minaccia di distruzione”.

Queste parole, che sembrano tanto attuali, le ha scritte nel 1689 il filosofo inglese John Locke e sono un monito importante per le nostre coscienze contemporanee. Come si intuisce facilmente hanno molto da insegnare soprattutto ad un Occidente disorientato che si trova in questi giorni davanti ad uno scenario di aggressione globale, inimmaginabile anche solo pochi mesi fa. Le ultime notizie internazionali, d’altronde, non sono confortanti, né incoraggianti, confermando a pieno una cruda diagnosi di guerra.

A Bruxelles, nel frattempo, si prepara il vertice dei ministri degli Esteri UE in un clima di tensione e forse con una buona dose di impreparazione. Più che il ritorno ad uno stato di minaccia sporadica, sembra ormai che siamo vittime di un attacco armato incandescente. Alla riunione, che vede la partecipazione anche del segretario della Lega Araba, per l’Italia ci sarà la Mogherini, alto rappresentante degli esteri europei, la quale ha giustamente osservato che l’attuale non è un conflitto di civiltà tra Islam e Cristianesimo ma un attacco unilaterale da parte di falangi terroristiche organizzate contro le democrazie. La soluzione auspicata è il dialogo.
Il premier britannico Cameron, invece, sembra essere meno ottimista sulla linea del confronto diplomatico: i jihadisti stanno preparando nuovi attentati considerati ormai solo una questione di tempo e quindi è prioritaria la tempestività nel riuscirli a prevenire e sventare. Il Papa di ritorno da Manila ha invitato tutti alla saggezza, essendo stato il primo leader mondiale a comprendere, tempo fa, che siamo dentro una ‘guerra mondiale a pezzi’. Insomma dialogo sì, ma senza ignorare i fatti e con visione concreta.

Due note di certezza possono forse aiutare. La prima è che i torbidi di Parigi non costituiscono un episodio isolato ma la prima mobilitazione di cellule terroristiche di una serie che ne seguirà. La seconda che l’azione militare di Al Qaida e dell’Isis si spalma ormai su tutto il pianeta, con una strategia a lungo termine, agendo in modo diverso secondo i contesti e le circostanze. In Nigeria, ad esempio, l’ennesimo attacco kamikaze ha prodotto 7 morti e 45 feriti a Potiskum, nella parte orientale del Paese, configurando una mobilitazione armata interna divenuta di fatto una guerra civile per prendersi lo Stato. In Europa invece la tattica sembra essere meno diretta, per ora, anche se non meno minuziosa e capillare, a quanto dicono le fonti Intelligence.

Dunque, se di guerra si tratta, l’appello al dialogo, sempre preferibile comunque, è un discorso totalmente fuori luogo. O diciamo che è l’Islam nel suo insieme che ha dichiarato guerra a tutto il mondo libero, e allora può avere senso negoziare con i moderati; oppure se non è così, e non è così anche perché un’internazionale musulmana non esiste, allora davanti a soldati invisibili, camuffati da civili, che compiono operazioni terroristiche organizzate e autonome, è assurdo aprire un dibattito come se si trattasse di episodi circostanziati.

L’inerzia europea, a ben vedere, è un espediente per coprire la profonda debolezza politica di Europa e Stati Uniti. Non serve a nessuno cercare impossibili accordi con chi ha deciso di uccidere senza preavviso, ma occorre essere pronti a difendersi e a reagire risolutamente dentro e fuori il continente. Quando si è sotto attacco, l’unica cosa certa è che il pacifismo è un suicidio. E lo è ancor più pensare di non utilizzare il tempo a disposizione per rafforzare gli organismi di protezione in modo eccezionale come la situazione lo richiede.

Commentando l’episodio della liberazione delle ragazze italiane in Siria, Manconi ha opportunamente detto in TV che lo Stato ha il compito reale e costituzionale di salvaguardare la vita dei propri connazionali. Bene, e i cittadini si aspettano perciò che non si paghino soltanto riscatti milionari e indennizzi postumi per le vittime ma che ci si attrezzi per prevenire e, malauguratamente se serve, per affrontare duramente a casa loro chi ci minaccia nel nostro territorio.

In attesa di riuscire a creare strumenti di difesa e politiche militari comuni, i singoli Stati europei dovrebbero finanziare e sostenere subito le rispettive forze armate mettendo tutto il resto in secondo piano, ad iniziare dal patto di stabilità e dai vincoli di bilancio. Il governo Renzi ha il dovere, in questo momento, di concentrare tutte le risorse disponibili per garantire la sicurezza interna e la condizione di possibilità di interventi militari all’estero in caso di necessità.
Smettiamola di restare vincolati psicologicamente a puerili concezioni illuministe sulla pace perpetua, buone ormai solo per riempire di retorica le pagine vuote di alcuni giornali. Erodoto diceva che nessun popolo può stare in pace per troppi anni. È purtroppo impossibile. Noi come Europa lo siamo da settanta. Forse è bene tener conto, invece, che la forza del mondo occidentale deve confrontarsi adesso con civiltà che hanno un approccio triviale e violento alla vita, e non si fanno scrupoli di uccidere e uccidersi per la loro causa. La nostra vera risorsa sono i superiori mezzi tecnologici di difesa a disposizione e la potenza economica delle nostre democrazie, non certo il buonismo e l’approccio dimesso.

Non mi sembra, insomma, che gli appelli debolucci della Mogherini al dialogo siano sensati e sufficienti, e qualche dubbio lo pone anche la politica fiscale di Obama, con la sua pretesa di tassare i ricchi per rafforzare la classe media, quando il mondo sta morendo per la mancanza di una presenza militare concreta degli States. Oggi si deve finanziare la difesa, e tutti devono concorrere a farlo, in primis gli americani. Perché per vivere e prosperare bisogna prima essere sicuri di sopravvivere come civiltà atlantica.

Tutti gli sforzi futuri devono guardare, dunque, ad una politica militare seria, articolata, internazionale e pronta a gestire quello ‘stato di guerra’ che Locke definiva il più imponente attacco alla dignità naturale di ogni essere umano che la storia proponga all’umanità.
In una logica di guerra, d’altra parte, ci si attrezza per la guerra, specialmente se si ha nel cuore la pace e la libertà. Perché se si pensa alla pace quando la pace non c’è, vi è una concreta possibilità di poter morire.


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