Mentre il Governo si crogiola dopo l’approvazione del Job Acts e si appresta ad affrontare la riforma della Rai, si apre nel fronte della sinistra l’affronto più duro all’esecutivo dall’inizio della Legislatura.
Matteo Renzi si trova alla prova della sua linea politica. La forza unilaterale della maggioranza presidenziale, com’era prevedibile, si sta trasformando nella debolezza di sostenere e far digerire a sinistra le riforme di sistema messe in atto, non avendo più la copertura che il Nazareno, tutto sommato, garantiva.
Antonio Polito, sul Corriere di oggi, vede il maggiore pericolo di Renzi specialmente in Laura Boldrini, la quale ultimamente ha manifestato una critica alla semplificazione del metodo parlamentare utilizzato dal Governo, con il ricorso continuo ai Decreti Legge, e potrebbe diventare legame di molti malcontenti. In tal modo Polito ridimensiona l’incisività della bordata assestata ieri da Landini. A suo dire non vi sarebbe cioè uno spazio reale di opposizione rossa alla linea delle riforme.
In ogni caso un vuoto grande sembra essersi aperto sul fronte sindacale, soprattutto perché Renzi sta apportando cambiamenti nell’organizzazione del lavoro che certamente non corrispondono agli interessi della Fiom e a i privilegi storici dei lavoratori dipendenti, i quali rimangono sempre un sindacato con un alto numero d’iscritti e non tutti del settore scuola.
Per questo motivo è pressoché impossibile non dirsi d’accordo con il presidente del Consiglio sulla maggiore flessibilità e sull’esigenza di intervenire nel servizio pubblico radiotelevisivo anche per liberarne la gestione dall’iper politicizzazione che ha subito in questi anni con la Legge Gasparri.
Si tratta, tuttavia, di trasformazioni che non avvantaggiano la vasta area bipartisan dei privilegiati, non coincidendo in nulla con il blocco di potere tradizionalmente progressista e finendo per non contentare nessuno al di fuori degli stessi renziani.
L’abile politica del premier sta puntando, in effetti, a fare da sinistra le riforme promesse dal centrodestra, estromettendo il centrodestra perfino in materia di giustizia, con la responsabilità civile dei Magistrati, ma non arrivando a contentare e a assorbire per nulla l’elettorato moderato sempre più perplesso della sua spregiudicatezza.
La ragione, insomma, della fragilità attuale di Renzi sta proprio nella sua peculiare intelligenza tattica, indirizzata a sganciare il PD da vecchi conservatorismi, non potendo fare altro però che estendere il proprio personale potere d’influenza nelle istituzioni e nei posti chiave, senza allargare oltremisura la sua popolarità.
D’altronde, sull’altro fronte, le difficoltà in Veneto mostrano un’opposizione in panne, divisa e suddivisa al proprio interno, con un’eterogeneità di fini non risolvibile nel breve e soprattutto poco attraente anche laddove le alleanze per le amministrative si realizzeranno.
In definitiva, solo Renzi cresce ma lascia scoperte due parti sempre più consistenti del Paese: quella che si coagulerà attorno a Landini o a qualche altra leadership di sinistra; e quella che, con o senza Salvini, punterà ad addensare un consenso contro la parzialità delle riforme che il Governo sta attuando.
Anche se nel breve non ci sono rischi per la maggioranza, la posizione che pare più problematica è quella del Ncd. Stare con Renzi e regalare a FI il proprio piccolo ma consistente elettorato, oppure lasciare i ministeri per finire assorbiti nella coalizione salviniana perdendo il potere di stare al Governo?
Tutti gli scenari sono aperti nell’area popolare. A preoccupare soprattutto è la dilatazione del gruppo renziano, il quale sembra prosperare in modo inarrestabile non avendo altro obiettivo che quello di accumulare potere senza spartire con gli altri i dividendi.
La protesta di Landini rivela una prima crepa interna a questa egemonia personale, la quale, unita al montare della protesta radicale della destra e alla non legittimità elettorale della maggioranza, potrebbe determinare un cattivo risultato del PD alle amministrative. E se ciò avvenisse, gli equilibri interni ed esterni muterebbero improvvisamente, costringendo Renzi a più miti consigli e magari perfino alle elezioni anticipate.