Quando i miliziani dell’Isis arrivano a conquistare Sirte, quando l’ambasciata italiana a Tripoli invita i nostri connazionali a lasciare rapidamente la Libia, e il Ministro degli esteri Paolo Gentiloni afferma senza reticenze che l’Italia “è pronta a combattere” in quel Paese, sotto l’egida delle Nazioni Unite, allora la situazione è veramente grave e bisognerà chiedersi se siano state valutate a fondo dall’opinione pubblica più avvertita tutte le implicazioni geopolitiche, militari ed economiche di un simile gravissimo pericolo.
Il rischio ormai incombente di una nuova escalation dell’Isis nel Nord Africa apre infatti scenari inquietanti dal punto di vista militare perché nessuno può escludere che i suoi combattenti possano entrare in possesso di missili Scud a lunga gittata, capaci di colpire le nostre regioni meridionali, anche se al riguardo sarebbe necessario sapere dai nostri servizi di intelligence se i miliziani abbiano poi i sistemi d’arma e l’effettivo know-how tecnico per poter puntare e lanciare testate sul nostro Paese.
Ma l’effetto mediatico della nascita di un possibile califfato in Libia sarebbe enorme, in Italia e in Europa, con tutte le implicazioni del caso. E la stessa Nato dovrebbe valutare attentamente se e come intervenire sotto il profilo militare, sperabilmente sotto la bandiera delle Nazioni Unite.
Ma anche dal punto di vista economico i danni per il nostro Paese potrebbero rivelarsi pesantissimi ed anche a brevissimo termine. Bisogna ricordare in proposito – qualora qualcuno lo avesse dimenticato – la forte presenza dell’Eni in Libia ove coltiva estrazioni di petrolio e gas in sei grandi aree in concessione: gas che poi viene trasferito attraverso il grande gasdotto sottomarino che dalla Libia giunge a Gela in Sicilia. Bene, cosa succederebbe allora ai nostri approvvigionamenti energetici se venisse meno all’improvviso la fornitura di gas che giunge da quel Paese? Saremmo in grado di sostituirla nel volgere di poco tempo? E come? Acquistandone maggiori quantità dall’Algeria, dalla Russia (attraverso l’Ucraina) o dal Mare del Nord? O facendo marciare a pieno regime i rigassificatori di Panigaglia in Liguria, o quelli galleggianti di Porto Viro vicino Rovigo e l’altro al largo di Livorno? E con quali certezze di approvvigionamenti e con quali costi per la nostra bolletta energetica?
Ed è proprio alla luce di queste fin troppo ovvie preoccupazioni che risulta politicamente grave l’irriducibile resistenza opposta dall’estremismo ecologista all’approdo della TAP-Trans Adriatic Pipeline a San Foca di Melendugno nel Salento che, tuttavia, se pure si rispetteranno i tempi previsti dal progetto, porterà 10 miliardi di metri cubi di gas dell’Azerbaijan in Italia solo dal 2019. E nel frattempo?
Allora è proprio lo scenario energetico appena descritto sia pure sommariamente che giustifica l’espressione del Ministro Gentiloni che, si badi bene, non ha parlato di una missione di peacekeeping, ma di un’Italia “pronta a combattere”. Certo, poi, a fronte di una così drammatica necessità nazionale, vi sarebbe da chiedersi con quali e quanti uomini e donne lo si farebbe, con quali reparti addestrati al combattimento, con quali tecnologie e mezzi e con quali costi in vite umane e per il nostro bilancio, proprio quando si sono ridotti gli stanziamenti per la Difesa. Ma poi il Paese sarebbe concorde nel promuovere un’azione di questo tipo, dopo tutto quello che sta accadendo in Parlamento proprio in queste ore sulle riforme costituzionali?
Comunque, in una situazione che a distanza di 2.200 anni potrebbe ricordare quella dei Romani, dopo la loro gravissima sconfitta di Canne, con Hannibal ad portas bisogna conservare grande lucidità, sangue freddo e intelligenza politica e strategica, lavorando perché siano l’Unione europea, la Nato e le Nazioni Unite a comprendere la gravita della situazione in Libia e i passi da compiersi rapidamente e con uno schieramento il più largo possibile. In uno scenario internazionale, peraltro, ove si attende con ansia l’effettivo cessate il fuoco in Ucraina.
Federico Pirro – Università di Bari – Centro studi Confindustria Puglia