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Perché la sanzione a Robledo è anomala

‘’Deve lasciare Milano e non può più fare il pm, Alfredo Robledo, il magistrato protagonista dello scontro con il procuratore Edmondo Bruti Liberati. Lo ha stabilito la Sezione disciplinare del Csm ,accogliendo la richiesta del Pg della Cassazione, che imputa a Robledo uno presunto “scambio di favori” con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello. Robledo è stato trasferito al Tribunale di Torino, con funzioni di giudice’’.

Fino a qui la cronaca. Non intendiamo entrare nel merito del conflitto tra il Procuratore capo di Milano e il suo ex ‘’aggiunto’’, né sulla decisione del Csm. Ci basta soltanto far notare, con tanto rassegnato stupore, l’anomalia del provvedimento disciplinare. Eravamo, infatti, persuasi che la funzione di giudice fosse quella più importante ed ambita nell’ordinamento giudiziario e che essere nominati giudice fosse un premio, un riconoscimento al merito.

Scopriamo, invece, che, addirittura, si tratta di una punizione per chi, come Robledo, svolgeva il ruolo eletto del pm (da cui viene bandito in eterno). Perché prendersela? In uno Stato di Polizia comandano i magistrati-questurini. Che bisogno c’è di un magistrato che esamini i fatti, accerti le responsabilità e perda tempo a scrivere la sentenza, quando per ‘’fare giustizia’’ è sufficiente qualche intercettazione telefonica, ‘’sbattuta in prima pagina’’?

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Come mai Maurizio Landini non ha partecipato al Festival di Sanremo? Avrebbe potuto eseguire, da neourlatore, la canzone ‘’Ghiaccio bollente’’ di Tony Dallara, nella serata delle ‘’Cover’’.

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A noi non piace speculare sulle spiate di un bancario mascalzone che scappa con informazioni riservate e che, invece di finire in galera, diventa una specie di eroico Robin Hood contemporaneo. Abbiamo apprezzato, allora, il composto equilibrio con cui un grande quotidiano ha evitato di coinvolgere Pippo Civati nella vicenda di un conto corrente svizzero che apparteneva ad un suo famigliare. Perché profanare, allora, per gli stessi motivi e nella medesima pagina, la tomba e la memoria di Giorgio Straquadanio?

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Quando, durante l’Aventino (quello vero del 1924), i leader delle opposizioni si rivolsero al Re chiedendogli le dimissioni di Benito Mussolini, Vittorio Emanuele III rispose salomonicamente: ‘’I miei occhi sono alla Camera, le mie orecchie al Senato’’. In sostanza, quelle parole stavano a significare: ‘’Arrangiatevi’’. Che cosa dirà Sergio Mattarella?

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Le Francescheidi: ‘’Ma io quante Divisioni ho ?’’

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