L’Offerta di Mediaset su Rai Way, ma anche il piano di riorganizzazione di Luigi Gubitosi della governance e dell’informazione. L’ex direttore generale della Rai (dal 1998 al 2001, ai tempi dei governi D’Alema) Pier Luigi Celli guarda con una certa soddisfazione, e qualche perplessità, ai cambiamenti in corso a Viale Mazzini. Alcuni dei quali erano stati messi in agenda proprio durante il suo mandato.
Dottor Celli, cosa pensa della vicenda Rai Way e dell’offerta di acquisto da parte di Mediaset?
Credo che, se davvero la Rai vuole vendere parte delle sue infrastrutture (e non è detto che ne sia bisogno), è necessario che mantenga il 51 per cento. Però non dovrebbe vendere a Mediaset, ovvero il suo principale competitor. Durante il mio incarico decidemmo di vendere il 40 per cento di Rai Way agli americani, poi arrivò Gasparri e non se ne fece più niente. Comunque l’offerta di Mediaset ha tutte le sembianze di un’Opa ostile.
Le torri tv della Rai sono strategiche rispetto ad altre aziende partecipate dallo Stato e quotate in Borsa come Eni, Enel e Finmeccanica?
Le infrastrutture della Rai sono importanti perché possono supportare più mezzi, ma non sono più strategiche di altre. La questione però va trattata non solo secondo criteri di mercato, come dice Renzi. Perché la Rai fa servizio pubblico, fa informazione ed è la principale produttrice di cultura del Paese.
Quindi va valutato bene a chi si vende?
Certo. E la possibilità di vendere a Mediaset mi lascia molto perplesso.
Gubitosi sta studiando un piano per la riforma della governance. Che ne pensa?
Mi piace l’idea di un Cda operativo e mi piace l’istituzione di un amministratore delegato con più poteri rispetto all’attuale direttore generale. Ma è indispensabile anche mettere un organismo tra la politica e Viale Mazzini, in modo che la Rai non sia direttamente gestita dal governo e dai partiti. Noi all’epoca pensammo a una fondazione con personalità non direttamente legate alla politica cui spettava il compito di eleggere il Cda, che poi avrebbe nominato il presidente e l’amministratore delegato.
Mettere una distanza tra la politica e la Rai: davvero si può fare?
Innanzitutto c’è una sentenza della Corte costituzionale secondo cui la Rai non deve dipendere dal governo. Il sistema per evitare il controllo diretto esiste.
E come?
Il primo passo è abolire la commissione di vigilanza parlamentare, che è il serbatoio delle pressioni e del controllo dei partiti su Viale Mazzini. In secondo luogo, come dicevo, creare un organismo indipendente tra il ministero del Tesoro e il consiglio di amministrazione. La fondazione è una buona strada. La Rai deve essere messa in grado di competere alla pari con i suoi concorrenti senza il fardello del controllo delle forze politiche.
Il piano di Gubitosi, già contestato dall’Usigrai, prevede l’accorpamento delle redazioni secondo il modello delle newsroom della Bbc. Le piace?
Noi eravamo andati oltre prevedendo un piano di accorpamento delle reti, che poi si sarebbe riflettuto anche sull’informazione. Il modello Bbc è sicuramente valido, specie in questa epoca in cui l’informazione va data in modo globale e sul più ampio numero di piattaforme possibili, ma non vale nulla se prima non viene realizzato il primo passaggio che, ripeto, è mettere una distanza tra la politica e l’azienda. Il riassetto previsto da Gubitosi va nella giusta direzione, ma mi lascia anche perplesso.
In che senso?
Un piano del genere non si fa a fine mandato, lasciando poi la patata bollente della messa a regime a chi viene dopo, ma andrebbe fatto all’inizio, in modo da seguire passo per passo la sua realizzazione.
Si risparmieranno un bel po’ di soldi, si taglieranno un bel po’ di poltrone…
Il risparmio è sicuramente importante, anche a fronte degli sprechi che ci sono e ci sono stati, ma non è il primo aspetto cui bisogna guardare quando si fa una riforma della Rai. Prima viene la qualità del servizio pubblico e dell’informazione che si mette in campo.
Mi sembra di capire che lei sia contrario a un’eventuale privatizzazione…
Può essere l’ultimo step di un percorso, ma non sono per la vendita totale. Al massimo si può privatizzare una rete.
Come giudica lo stato di salute della Rai?
Viale Mazzini gode di salute precaria. Ci sono cose buone e altre scadenti. La proliferazione dell’offerta grazie ai canali del digitale terrestre non ha alzato la qualità. C’è qualche film in più da vedere la sera, ma le fiction, oltre a non varcare i confini del nostro Paese, non reggono nemmeno la concorrenza di quelle prodotte da Sky, dove si osa di più. Insomma, davanti alle serie tv americane noi continuiamo a offrire santi, profeti e navigatori.
E l’informazione?
E’ asfittica, attenta a non disturbare il navigatore e a rispondere agli input di questa o quella parte politica. Potrebbe essere molto più vivace e, soprattutto, meno piegata.