Ormai la causa Quirinale è archiviata, e Matteo Renzi può avviarsi a riprendere serenamente con tutti il dialogo sulle riforme. L’obiettivo finale è vicino, d’altronde, nonostante le trappole si annidino sempre nel sentiero minato del Parlamento. Sia la legge elettorale, che attende l’ultimo passaggio, sia le più complesse riforme costituzionali dovrebbero comunque andare a buon fine. Il successo appena ottenuto, col ricompattamento a sinistra della maggioranza, ha scongiurato al premier problemi interni, almeno nell’immediato, anche se le defaiance potrebbero venir fuori adesso dai singoli gruppi dell’Ncd e di Forza Italia in via di sgretolamento.
La vera questione politica non sta, in realtà, in questa normale dinamica di rapporti politici, ma in Renzi stesso, il quale, mediante la sua linea di moltiplicazione delle maggioranze, sta ottenendo un risultato egemonico, non del tutto rassicurante per la democrazia.
Assistere alla sua performance dell’altra sera a Porta a Porta, nella quale egli si è eretto a difensore e testimone d’ufficio dell’Ncd, reagendo stizzito alle ironie di Sallusti, pone alcuni interrogativi seri sul commissariamento che sta esercitando nei riguardi dell’area popolare. Non soltanto, infatti, è chiaro il basso tasso di autonomia che gli alfaniani oramai detengono, ma l’allargamento personale del potere del presidente del Consiglio sembra inarrestabile e incontenibile. Renzi sembra dire: tengo in pugno i miei, ma tengo sotto scacco anche gli alleati, ormai divenuti cuscinetto compensativo della crescente ascesa del mio potere personale. Perciò nessuno me li tocchi!
Come hanno osservato quasi tutti i quotidiani, il destino immediato delle regionali sarà definito viceversa dalla capacità di Salvini e Berlusconi di arrivare ad un accordo, senza che l’uno perda la sua appartenenza moderata e l’altro disperda il quoziente di novità che la non contaminazione con la vecchia politica gli garantisce. Non solo, ma conti alla mano, per poter avere qualche chance, non basterà loro unicamente questo sodalizio perché sarà indispensabile riportare nell’alveo dell’opposizione anche Alfano o perlomeno la sua area politica.
Il punto è che se, per contro, dovesse crearsi un grande cartello sinistra – centro, con tutti gli annessi e connessi, Berlusconi non avrebbe interesse ad andare con Salvini, e neanche Salvini a stare con Berlusconi: perderebbero tutti. E Renzi si mangerebbe il centro, drenando i suffragi moderati, mentre l’opposizione dura si coagulerebbe solo attorno a Salvini.
Un’ipotesi del genere, abbastanza probabile, segnerebbe la morte del centrodestra e il passaggio ad una nuova formula originale, il ”sinistro – renzismo”, cui si opporrebbe una destra sempre più radicale e anti sistema come quella della neo Lega.
L’anomalia vera, quindi, non sta in Salvini ma in Renzi, senza che egli ne sia colpevole e se ne renda conto. La mancanza di leadership moderata nel presente, infatti, sta creando una sorta di espansione incontrollata delle posizioni radicali verso il centro, tale da costringere gli elettori popolari a dover preferire, alla fine, il centrosinistra allargato a destra, piuttosto che la destra anti sistema. Quest’ultima, oltretutto, vedrà facilmente crescere i suoi consensi sia attingendo energie dall’astensione e sia assorbendo parte della protesta grillina, non dando speranze di un ritorno al dialogo con i parenti perdenti.
L’auspicio, in definitiva, è che ascenda tra le truppe di Forza Italia o dei non governativi del Ncd una qualche leadership politica nuova in condizione di poter competere come terzo incomodo tra i due, e di poter almeno contrastare un poco l’espansione renziana.
Contando che Alfano non abbandonerà gli Interni, e neanche gli altri i propri ministeri, le speranze possono ricadere soltanto su Raffaele Fitto, il quale, nella resa dei conti con Berlusconi, ha giustamente optato per la lotta interna, escludendo l’abbandono del partito. Forse l’ex Cav dovrebbe ragionarci un po’ su, valutando se gli conviene rischiare di fare un secondo errore mortale, invece che cambiare metodo sparigliando le carte.
Meglio aiutare, insomma, l’emergente politico pugliese, o lanciare qualche nuova personalità, piuttosto che morire d’inedita, schiacciato nella morsa Renzi – Salvini o nell’impopolarità che gli regalano Verdini e co.
Tanto più che il nuovo capo dello Stato, sicuramente immune da queste logiche, si può immaginare che non vedrebbe di buon occhio una democrazia italiana costretta alla scelta tra una destra oltransista, da un lato, e l’unica armata renziana, dall’altro. Che bipolarismo sarebbe, in fin dei conti?
Il pericolo, in buona sostanza, è che Renzi, giocando bene la tattica dei due forni, alla fine diventi vittima della sua forza, non riuscendo a limitare, come capitò a Berlusconi dieci anni fa, la tentazione totalitaria e creando le condizioni per un soffocamento di se stesso per eccesso di potere personale.
D’altra parte, si sa che in democrazia le esagerazioni sono sempre dannose, per gli uni come per gli altri, e non si può mai diventare troppo grassi senza morire di obesità.