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Perché le tesi di Luigi Zingales sulla finanza non mi convincono

Luigi Zingales è tra gli economisti italiani espatriati negli Stati Uniti con maggiore fama, credito internazionale e rispetto. Laureato alla Bocconi di Milano, Zingales è professore all’Università di Chicago, madre del pensiero economico più liberista e liberale del Novecento e del nostro secolo. Zingales ha scritto tra i migliori libri divulgativi di economia sulla crisi del sistema capitalistico e ultimamente ha raccolto grande consenso in Italia grazie alle sue posizioni critiche verso l’Europa senza unione politica, contro l’euro e l’austerità che affamano i popoli dei PIIGS.

Ma ogni tanto anche i più illustri intellettuali devono baciare la pantofola alle lobby accademiche e il paper che vi segnalo ne è un esempio davvero speciale. Grazie ai disastri della crisi finanziaria ed economica, allo scasso delle finanze pubbliche degli Stati che hanno dovuto salvare banche, industrie e frotte di lavoratori disoccupati la percezione popolare della finanza è decisamente negativa. Ma la brutta notizia che ha fatto trasalire Zingales è che il 57% dei lettori del The Economist, che di finanza si cibano, non pensano affatto che la finanza contribuisca alla crescita economica. Da qui l’esigenza di Zingales di rivedere la letteratura finanziaria per ribadire che, invece, la finanza produce grandi risultati, occupazione, crescita finanche sviluppo.

Il paper di Zingales dovrebbe diventare una lettura obbligatoria per tutti gli studenti dei corsi di base di finanza perché passa in rassegna con linguaggio preciso e ottima sintesi le principali problematiche ancora irrisolte: l’informazione privilegiata, i bonus dei manager, l’attitudine all’egoismo degli studenti di finanza (documentato in America, per fortuna nostra), la regolazione che non regola, ma incentiva a scappare verso altre forme di scambi finanziari, l’inefficacia dei controlli laddove i profitti sono troppo elevati. Zingales auspica comunque una soluzione market-based, tenendo fuori lo Stato, le agenzie pubbliche, i controllori, la Morte Nera insomma.

Non me ne voglia il prof Zingales, ma, per chi mastica di finanza, è evidente che il ruolo del sistema finanziario è stato ampiamente sopravvalutato, mal regolato, poco controllato e che la crisi è la conferma di tutti questi errori. Lasciando dei bambini egoisti e maleducati a giocare con i coltelli il risultato è facilmente intuibile. Da anni mi occupo del tema dei derivati finanziari utilizzati, tra gli altri, dagli Stati e dagli enti locali italiani e in questo ambito sono stati i player finanziari a definire il gioco e non la teoria o lo Stato. La magistratura sta risolvendo alcuni di questi problemi, ma con alterni risultati, peraltro è tra le soluzioni, quella più lenta e inefficiente.

La soluzione alla crisi intellettuale ed etica che evidenzia il prof Zingales potrebbe essere “più regolazione per tutti”, ma i Chicago boys rifuggono dallo statalismo. D’altra parte non si può neanche pensare di risolvere gli squilibri con lo schiocco di dita, senza inserire una netta separazione tra sistema finanziario e politico o imporre incentivi chiari, come schemi salariali più decenti, vicini al reale contributo svolto nel sistema e non inflazionati da indici matematici taroccati. Insomma, la finanza crea beneficio alla società? La risposta è NI.

Luigi Zingales, 2015, DOES FINANCE BENEFIT SOCIETY?, NBER Working Paper 20894


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