“In Commissione al Senato c’è un po’ di rallentamento perché si sono accavallate alcune vecchie priorità ma sono convinto che ce la faremo a rispettare la dead line di dicembre 2015 per approvare il nuovo codice degli appalti e delle concessioni pubbliche”. Il viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Riccardo Nencini (senatore e segretario del PSI) è l’uomo al quale il Governo ha conferito la delega per la riforma del codice degli appalti. Un provvedimento molto atteso da imprese e pubbliche amministrazioni, destinato a incidere profondamente sul settore delle costruzioni e sull’economia italiana. Ecco le sue priorità, affidate a Formiche.net, per rilanciare le opere pubbliche e riprendere la strada dello sviluppo infrastrutturale.
Il nuovo codice sarà adottato per recepire le direttive europee in materia di appalti e concessioni ma dovrà anche migliorare il nostro sistema che ha dimostrato di non funzionare. Da questo punto di vista qual è l’obiettivo generale che vi siete posti?
“L’obiettivo che vogliamo realizzare con il nuovo codice degli appalti ha due direzioni fondamentali. La prima è dare la certezza sull’inizio e la fine di un’opera. La seconda è avere garanzie di controllo, vigilanza e trasparenza nei lavori pubblici”.
L’Italia era il Paese che impiegava otto anni a costruire l’Autostrada del Sole. Ora invece i tempi sono diventati infiniti come dimostra, ad esempio, l’ultimo rapporto sullo stato di attuazione della legge obiettivo del 2001 di cui solo l’8.4% delle opere previste è stato ultimato. Cosa ci è successo e come se ne esce?
“Ci sono tre ragioni madre che determinano i ritardi in Italia sulle quali è necessario intervenire. Il primo fattore è dovuto a un percorso ad ostacoli per la realizzazione delle opere che esiste soltanto nel nostro Paese. Un’opera dalla sua ideazione all’apertura del cantiere deve passare attraverso la Conferenza dei Servizi, la Conferenza Unificata, la Conferenza delle Regioni, il Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione economica) e la Corte dei Conti. Cinque passaggi che sono eccessivi. Il secondo problema è che su molte opere esiste una competenza ripartita tra Regioni e Stato. La modifica del Titolo V della Costituzione, attualmente in discussione, dovrebbe dare certezze sulla competenza. Infine c’è una pluralità di piccoli fattori come l’eccesso di ricorsi delle imprese che arrivano secondo o terze rispetto all’azienda vincitrice delle gare d’appalto, la carenza progettuale, i fatti legati alla malavita”.
C’è bisogno di semplificare e di creare un sistema più efficiente che sia a misura delle imprese, soprattutto quelle più piccole. Cosa farete in questo senso?
“Si può dire che la riforma degli appalti sia un tassello della più ampia riforma della pubblica amministrazione in Italia. La legge delega già prevede che sia prestata un’attenzione particolare alle piccole e medie imprese. Poi il decreto legislativo del Governo stabilirà nel dettaglio come. C’è anche un’altra norma – che sarebbe rivoluzionaria – sulla quale stiamo lavorando per tutelare il made in Italy anche nell’edilizia”.
Come ha già accennato, un argomento centrale è rappresentato dalla trasparenza e dal contrasto ai fenomeni di corruzione. Che cosa volete fare?
“I punti principali sono due. Intanto la semplificazione, in particolar modo per quanto riguarda i documenti da presentare. In secondo luogo una normativa stringente che introduca il divieto delle varianti e delle deroghe, salvo che per questioni eccezionali e non prevedibili. La nostra idea è l’applicazione stretta della normativa comunitaria, che consente di intervenire in deroga solo di fronte a eventi effettivamente straordinari”.
Nel disegno di legge delega si parla di trasparenza nella partecipazione al processo decisionale dei portatori qualificati di interessi. In pratica una prima forma di regolamentazione delle lobby dopo tanti tentativi andati a vuoto. Pensa che questa possa essere davvero la volta buona ed è in grado di anticiparne il funzionamento?
“Lo faremo davvero. E’ una di quelle che cose che vanno fatte. Oggi, anche perché viene a mancare il finanziamento pubblico ai partiti, c’è una necessità ulteriore di sapere cosa succede all’interno della pubblica amministrazione. Tra l’altro è uno dei punti condivisi interamente sia dalla Commissione Lavori pubblici del Senato, sia dal presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, con cui ci stiamo raccordando in modo molto stretto.
Sul funzionamento ci sono varie ipotesi allo studio. Io al Ministero sto utilizzando quella più semplice, in auge al Parlamento Europeo. Chi vuole un appuntamento, deve registrarsi e indicare nome e cognome. Gliene chiediamo la ragione e, se ci sono documenti da consegnare, vengono registrati. Quindi, c’è un primo approccio trasparente al rapporto con il potere pubblico”.
In cosa pensa che il disegno di legge governativo sarà essere integrato in Parlamento rispetto al testo varato dal Consiglio dei Ministri?
“Ci sono un paio di questioni che saranno inserite già al Senato. La prima è il débat public che mi trova pienamente d’accordo. D’altronde in Italia soprattutto le grandi opere spesso subiscono ritardi anche perché il territorio non ne condivide la realizzazione. Con il débat public lo si coinvolge e si riescono a garantire tempistiche certe. Se riusciamo a combinare questo aspetto con la riforma del Titolo V della Costituzione – che ci consentirà di stabilire a chi spetti la competenza – daremo velocità alla realizzazione delle opere pubbliche.
La seconda questione, invece, riguarda la cosiddetta clausola sociale. Con questa clausola, ad esempio, ai lavoratori di un’impresa che vinca una gara d’appalto, salvo poi perderlo qualche tempo dopo, sarà consentito di lavorare su quello stesso progetto anche con l’azienda che subentri successivamente. In questo modo sarà tutelata molto di più l’occupazione”.
Chiudiamo con una riflessione generale. Parlando con formiche.net, il presidente dell’ANCE Paolo Buzzetti ha detto che per rilanciare il Paese devono ripartire le costruzioni ma che affinché ciò accada, serve un grande programma di opere pubbliche e infrastrutture. E’ d’accordo e qual è l’impegno del Governo in questo senso?
“Ha ragione Buzzetti. Servono investimenti. E serve soprattutto costruire la possibilità di un rapporto pubblico – privato che sia molto più efficace. Se non c’è coinvolgimento del privato, l’Italia non è nelle condizioni di realizzare grandi opere. Soltanto un numero per rendersene conto: nel 1980 il 70% delle opere era finanziato dal pubblico e il restante 30% dal privato. Oggi ci avviamo verso il 2020 in una condizione completamente rovesciata in cui almeno il 65% delle risorse proviene dai privati. Il che ci obbliga a valorizzare il privato con forme di partenariato più efficienti e interventi di defiscalizzazione”.