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Guido Ghisolfi, uno degli alfieri del Rinascimento della chimica italiana. Parla il prof. Ugo

La tragica scomparsa di Guido Ghisolfi, vice-presidente della multinazionale Mossi&Ghisolfi, leader mondiale nella produzione di imballaggi in plastica e all’avanguardia nella ricerca dei bio-carburanti più innovativi, ha turbato il mondo della chimica italiana, e non solo. Una realtà economica e scientifica che nel terzo millennio è stata protagonista di straordinari risultati a livello internazionale.

Una vita tra università e industria

A illustrarli in una conversazione con Formiche.net è Renato Ugo, per molti anni professore di Chimica generale e inorganica all’Università Statale di Milano in cui riuscì ad attivare 10 anni fa il corso di laurea in Biotecnologie.

Una lunga esperienza professionale in aziende del calibro di Montecatini, Montedison e Snia, lo studioso guida dal 1983 l’Associazione Italiana Ricerca Industriale ed è stato tra i fondatori di Assobiotec.

La sconfitta dei giganti chimici

Negli anni Novanta, racconta, l’Italia ha visto distruggere la grande chimica “per opera di avventurieri speculatori che non capivano nulla del settore e conoscevano i meccanismi di altri comparti industriali”.

Montedison, che vantava un ruolo di rilevanza mondiale con 30mila miliardi di lire di fatturato, implose nell’arco di tre anni. Fondamentali risultarono il fallimento dell’avventura di Enimont frutto della fusione con Eni fortemente voluta dall’allora presidente Raul Gardini.

La Snia, altro grande gruppo chimico nazionale, fu assorbita nella Fiat per far crescere un’impresa differente – la Sorin – con vocazione biomedicale.

Il nuovo miracolo della chimica italiana

Eventi, ricorda Ugo, che provocarono la “diaspora di tutte le persone attive in un tessuto industriale così prezioso”. Furono loro a trasferirsi nella galassia di piccole aziende chimiche sparse sul territorio, che rispondevano alle richieste ed esigenze dei vari tipi di mercato e fornivano “prodotti mirati su ordinazione”.

Si tratta della “chimica formulativa”, che trasforma materie prime in beni utili per clienti di ogni genere. Un’attività che ha contribuito a creare gruppi con un reddito massimo compreso fra 300 e 400 milioni annui e un buon livello di proiezione internazionale.

Grazie a una rete di iniziative messe in campo da imprenditori lungimiranti ricchi di competenze tecniche e universitarie, l’Italia dell’inizio del terzo millennio ha visto crescere “le mini multinazionali chimiche”. Sempre più estese per dimensione e con un fatturato che ha raggiunto il miliardo di euro.

Italia leader nel mondo

Le esperienze vincenti fanno parte della storia recente.

La Mapei di Giorgio Squinzi, rileva il docente universitario, fu creata per produrre piastrelle a uso edilizio. Poi si è sviluppata nelle forniture di prodotti per le reti stradali, la tenuta termica dei muri, i terrazzi impermeabili: “Riuscendo a occupare grazie alla tecnologia e all’assoluta qualità mercati in apparenza poco attraenti, il presidente di Confindustria possiede 50 fabbriche in tutto il mondo”.

Esempio altrettanto rilevante – evidenzia lo studioso – è la Bracco Corporate, realtà leader nella produzione dei mezzi e e liquidi di contrasto per la medicina preventiva. “Ma pensiamo anche alla Novamont, capace di portare a compimento nel terreno delle materie plastiche biodegradabili l’intuizione di Gardini di creare diesel tramite la chimica verde”.

“Un alfiere del Rinascimento della chimica italiana”

Emblematica della poliedricità e impronta innovativa di un settore economico di eccellenza è la storia della Mossi&Ghisolfi.

Fu Vittorio Ghisolfi, il padre di Guido, a capire che le fibre in poliestere utilizzate negli Usa per fabbricare camicie di scarso valore potevano essere utilizzate per costruire bottiglie di plastica e lattine per l’acqua minerale e le bevande. Acquistati a prezzo ridotto gli impianti di chi produceva fibre, egli riuscì a conquistare un mercato enorme arrivando a costruire stabilimenti in Brasile e in Spagna.

Nella strategia di crescita e proiezione internazionale dell’azienda, l’imprenditore fu supportato dal figlio: “Un ingegnere chimico con un carattere intraprendente e progetti coraggiosi. Un visionario competente che ritengo uno degli alfieri del Rinascimento della chimica italiana”.

Le cifre di un comparto di avanguardia

La quale, osserva lo studioso, è chiamata ad assumere una posizione attiva e creativa anticipando le richieste dei clienti per offrire un vantaggio competitivo. “È una realtà che deve continuamente rinnovarsi. E non a caso rappresenta il comparto economico che spende di più in ricerca e sviluppo”.

A riprova della sua capacità di “vedere i mercati nuovi”, Ugo fornisce poche cifre eloquenti: “La chimica costituisce la seconda area per tasso di occupazione dopo la meccanica, con 60 miliardi di euro di fatturato, più di 120mila persone occupate, grande vocazione verso le esportazioni”.

L’unico limite è che oggi il nostro paese, come tutte le nazioni occidentali tranne la Germania, è costretto a comprare all’estero le materie prime da trasformare in prodotti di elevata qualità. A venderle sono soprattutto arabi, cinesi, russi.

Chimica e finanza, un rapporto delicato

Ma vi è un elemento che contraddistingue l’industria chimica italiana: “Al contrario di quanto avviene in Europa e Stati Uniti, il ruolo centrale è ricoperto dalle persone rispetto alle strutture. Gli imprenditori che hanno creato le mini multinazionali provengono da una formazione chimica, non dalla finanza. E hanno rivelato un ottimo talento manageriale”.

Nella chimica, precisa Ugo, la priorità risiede nella conoscenza, formazione, aggiornamento tecnologici e scientifici. Ma se le imprese del settore dovessero crescere ulteriormente per dimensione e profitti, è la sua previsione, la componente finanziaria potrebbe acquisire maggiore rilievo.



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