Lo scenario politico italiano della prima metà degli anni Duemila fu caratterizzato da un infuocato conflitto culturale sulle tematiche eticamente rilevanti e la sfera delle libertà civili. Consultazioni referendarie, battaglie parlamentari, polemiche giornalistiche alimentate da accuse incrociate di integralismo, laicismo, interferenze clericali, aggressione all’integrità antropologica.
Una stagione che oggi appare remota, se è vero che con l’eccezione del Nuovo Centro-destra e dei Radicali (esclusi dalle istituzioni) il panorama partitico è egemonizzato da urgenze economico-sociali. Problemi come il riconoscimento delle unioni civili omosessuali, la fecondazione assistita e il testamento biologico vedono prevalere un approccio legislativo pragmatico o vengono risolti tramite verdetti giurisdizionali.
L’atteggiamento filo-Putin e l’asse con le destre populiste
Un ruolo singolare in questo terreno è giocato dalla Lega Nord di Matteo Salvini, che aspira a conquistare la leadership del centro-destra e a contendere la guida del paese al Pd di Matteo Renzi.
Lo storico del federalismo liberale Marco Bassani ritiene che il Carroccio abbia abbandonato l’atteggiamento originario più aperto riguardo le libertà civili. A suo giudizio la ragione risiede “nell’appiattimento sul machismo omofobico della Russia di Vladimir Putin, assurto a modello come il Front National di Marine Le Pen. Mentre nei confini italiani il rapporto privilegiato della realtà politica che un tempo fu definita ‘costola della sinistra’ vede protagonisti Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale e Casa Pound”.
Più realistica la valutazione del filosofo autonomista Carlo Lottieri, che nega il rilievo dei temi etici per le “camicie verdi”: “Nel rapporto con la religione i rappresentanti del Carroccio hanno affermato tutto e il contrario di tutto. Dalle polemiche contro ‘i vescovoni ricchi e opulenti del Vaticano’ al recupero dei rituali celtici e pagani del ‘Dio Po’ in chiave quasi contro-rivoluzionaria”.
Una difesa non integralista della famiglia tradizionale
Il segretario della Lega Nord ha fatto della salvaguardia dell’unione tra un uomo e una donna destinata a far nascere i figli una stella polare della propria strategia politico-mediatica. Soprattutto nelle polemiche velenose contro le istituzioni europee, responsabili ai suoi occhi di colpire il cuore sano delle comunità occidentali in omaggio a una visione multiculturale e a un malinteso spirito di tolleranza verso tutte le forme di affettività.
Tema che ha provocato a febbraio un vivace preludio alla rottura con Flavio Tosi. Al preannuncio della creazione di un registro per le coppie di fatto da parte del primo cittadino di Verona, il leader leghista ha risposto che “le vere priorità per i sindaci dovrebbero essere ridurre le tasse e aprire scuole, asili, ospedali”.
Tuttavia il parlamentare europeo si è guardato dal tuonare contro il voto con cui l’Assemblea di Strasburgo ha proclamato “fondamentale diritto umano il riconoscimento giuridico delle unioni civili”. Non ha parlato di “gesto distruttivo verso i valori cardine e l’identità del Vecchio Continente” come l’ex parlamentare Luca Volontè, né di “assurdità antropologica” come il filosofo Benedetto Ippolito.
E nell’ottobre 2014, nel corso del programma “Omnibus” su La7, ha affermato di voler ragionare sui diritti previdenziali e sanitari di coloro che non sono sposati, gay o eterosessuali. Aggiungendo di restare contrario ai matrimoni e alle adozioni tra persone dello stesso sesso “poiché atto di egoismo nocivo per i figli più piccoli”, ma di essere favorevole alla legge sul divorzio breve.
“Libertà di scelta e No alla criminalizzazione della donna”
Lontane da un orizzonte teo-con appaiono le sue riflessioni sull’interruzione di gravidanza. Nella trasmissione “La Zanzara” su Radio 24 Salvini ha rivendicato alla donna piena libertà e autonomia di scelta, “pur respingendo le misure per incentivarla e difendendo il diritto di obiezione di coscienza per i medici che rifiutano di realizzarla”.
L’aborto, ricordava nel 2008 nelle vesti di consigliere comunale a Milano, è sempre una sconfitta: “Ma non ritengo che si possa parlare di ‘pillola assassina’ per la Ru 486”, spiegava riferendosi al farmaco utilizzato per praticare l’interruzione di gravidanza con metodi meno invasivi e senza ricorrere a un intervento chirurgico.
“Non trasformare la procreazione in vitro in modello educativo”
Fino ad oggi il numero uno delle “camicie verdi” ha preferito astenersi da polemiche sulla controversa legge riguardante la fecondazione assistita, peraltro smantellata da ricorsi e sentenze della magistratura. E ha evitato di pronunciarsi sulla bontà o meno della ricerca scientifica e terapeutica sulle cellule staminali embrionali.
Ha lambito il problema nel febbraio 2012, quando ha protestato contro “la presenza e la diffusione in numerose biblioteche comunali lombarde di un libro che vuole prospettare ai bimbi un modello possibile di nuova famiglia: l’unione di due donne che vanno in Olanda a comprare il semino e poi diventano felicemente mamme”.
“No a ogni forma di eutanasia”
Molto più netta la sua ostilità all’eutanasia assistita volontaria. Il riferimento è a un post scritto su Facebook nell’ottobre 2013 su Facebook, relativo alla storia di una ragazza belga che aveva deciso di ricorrere alla “dolce morte” dopo una serie di interventi e terapie per cambiare identità sessuale.
Salvini rifiuta di considerare tale scelta un’espressione di libertà, progresso, futuro. “Non possiamo dimenticare come il buon Dio ci ha creato, ciò che siamo antropologicamente, ciò che fa bene e fa male. Un conto è la libertà, un conto è la morte della società senza alcun valore”.
Una valutazione oscillante
Più articolato lo spettro di posizioni del leader leghista su un tema caldo come la legalizzazione delle droghe leggere.
Nel gennaio 2014 il segretario nega aperture in merito alla proposta di regolamentazione avanzata dall’assessore lombardo all’Agricoltura Gianni Fava “alla luce del fallimento del proibizionismo”.
Intransigenza che pochi mesi più tardi, nel corso del programma “Coffee Break” su La7, si tramuta in “disponibilità a discutere senza barriere culturali”.