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La lezione di Strasburgo su Bruno Contrada

La sentenza della Corte di Strasburgo sul caso di Bruno Contrada chiude – dopo 23 anni di sofferenze – una pagina poco onorevole della giustizia italiana. E soprattutto mette in evidenza l’ambiguità di un reato come il concorso esterno in associazione mafiosa. E’ su questo aspetto che occorrerebbe riflettere.

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Lo scontro nella direzione del Pd, le dimissioni del capogruppo alla Camera Roberto Speranza (spes ultima dea) e ancor più la dura presa di posizione dei partiti di minoranza con le lettere al Capo dello Stato (tralasciamo le perplessità di Area Popolare sul ricorso al voto di fiducia destinate a sfiorire in un mattino, come le rose) annunciano un cammino difficile per l’Italicum e per la riforma del Senato. E’ presto, però, per trarre delle conclusioni. Il fatto che la sinistra dem abbia abbandonato l’aula sta ad indicare che il voto dei suoi componenti non sarebbe stato univoco e compatto. Poi quella della minoranza è una posizione debole: non è sufficiente qualche cambiamento sul terreno insidioso delle preferenze. E’ l’impostazione complessiva del provvedimento che non va, soprattutto se si cumula con la circostanza che solo la Camera sarà eletta dal popolo.

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Gravissime sono le responsabilità di Silvio Berlusconi. Senza il Patto del Nazareno e il sostegno entusiasta di Forza Italia sulle c.d. riforme istituzionali, Matteo Renzi non sarebbe mai arrivato a un passo dal traguardo. Mai pentimento fu tanto tardivo.

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Perché accusare Sandro Bondi a Manuela Repetti di essere dei voltagabbana soltanto perché votano con la maggioranza e guardano con interesse a Matteo Renzi? Loro sono coerenti. Hanno trovato nel premier/segretario le caratteristiche che avevano adorato nel Cavaliere del bel tempo che fu.

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Genocidio del popolo armeno. Dopo le dichiarazioni di Papa Francesco il nostro è stato il governo che ha dimostrato più cautela ed imbarazzo.

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