“Il premio di maggioranza non esiste in nessuna delle grandi democrazie europee con l’eccezione della Grecia. Per di più assegna 340 seggi parlamentari a un solo partito, con il resto da ripartire tra un coacervo di sigle frammentato e impotente a causa dello sbarramento al 3 per cento dei voti”. È il cuore dell’editoriale con cui Antonio Polito, recuperando l’analisi svolta tempo fa dal politologo Angelo Panebianco, stronca sul Corriere della Sera la riforma elettorale fortemente voluta da Matteo Renzi.
Il quale, al pari della gran parte dei capi di governo dalla Destra storica ad oggi, è riuscito a ritagliare le nuove regole sulle proprie aspirazioni ed esigenze. Per approfondire un tema ricco di risvolti politici nel giorno in cui la Commissione Affari costituzionali di Montecitorio inizia l’esame del Renzellum, Formiche.net ha interpellato Stefano Menichini, ex direttore di Europa e firma del Post.
La legge elettorale, scrive il Corriere, registra un restringimento del consenso in Parlamento.
È un ragionamento contraddittorio. Polito afferma che il confronto sulla riforma elettorale era partito bene grazie all’accordo fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e a una larga adesione politica. Oggi il difetto risiederebbe in una maggioranza ridotta a supporto del testo. Ricordo che nella fase dell’ampio consenso la legge era peggiore, riguardo le soglie previste per entrare alla Camera e vincere al primo turno oltre che sull’attribuzione del premio di governabilità all’alleanza anziché alla singola lista. Considerando il percorso politico che ha portato a tale esito, bisognerebbe trarre una conclusione coerente.
Quale?
Spiegare che il leader del Partito democratico avrebbe dovuto rompere il Patto del Nazareno per ricercare l’intesa con minoranza del Nazareno, Sinistra e Libertà, Movimento Cinque Stelle. Su un terreno del genere si confrontano tanti attori, a partire dagli avversari interno del premier. Un gruppo che nutre l’esigenza di posizionarsi, e attraverso la strumentalizzazione degli elementi di merito ha impedito la discussione concreta sui contenuti irrigidendo le scelte di Renzi.
La legge approdata a Montecitorio introduce una forma di elezione diretta del capo del governo senza conferirgli i poteri adeguati e senza prevedere i contrappesi necessari?
Avrei preferito che nel rinnovare le istituzioni fosse dichiarata l’intenzione di realizzare una riforma semi-presidenziale con pesi e contrappesi adeguati. Per la sinistra del Pd sarebbe stato traumatico affrontare l’innovazione in tale chiave, anche se nel passato ne parlò senza scandalo. Adesso, tra modifiche costituzionali, elettorali e della Pubblica amministrazione, viene prodotto un rafforzamento incompleto e fittizio dei poteri del Presidente del Consiglio.
Il Parlamento, rileva Polito, sarà indebolito dal “declassamento del Senato a vacanze romane dei consiglieri regionali e dalla selezione per nomina di un elevato numero di deputati”.
Il Parlamento è indebolito innanzitutto dall’immagine devastante che ha offerto di sé per lunghi anni. È difficile difendere le prerogative di un’istituzione così vulnerabile alla corruzione e al trasformismo, e così accondiscendente verso l’esecutivo e poteri esterni come la magistratura. La ferita si sana con la buona politica e forti iniezioni di autonomia, forza, credibilità del mondo partitico. Riguardo ai metodi di scelta dei gruppi parlamentari vorrei fare una precisazione.
Prego.
Fin dalla stagione della prima Repubblica è stato riservato un grande margine alle decisioni degli organi centrali delle formazioni politiche. Prima tramite il facile controllo delle preferenze, poi con l’assegnazione dei collegi maggioritari sicuri, infine con le liste bloccate. Nel selezionare i quadri dirigenti parlamentari il merito e la capacità non sono mai stati considerati prioritari da centro-sinistra e centro-destra.
Il Renzellum appartiene alla stessa famiglia della legge Acerbo, della “legge-truffa” e della legge Calderoli?
Ritengo complicato fare simili accostamenti storici. La memoria delle riforme del 1923 e del 1953 è legata alla battaglia politica che si infiammò attorno ad esse. Se le regole messe a punto dalla Democrazia cristiana oltre 60 anni fa venissero riproposte oggi, ci sembrerebbero meno gravi e molti le riterrebbero migliori dell’Italicum. Anziché eccitare il conflitto parlamentare ricorrendo ai fantasmi del passato, ritengo più utile focalizzare l’attenzione su elementi che possono essere migliorati.
Quali?
Penso, da cittadino affezionato al Mattarellum, che il numero dei collegi plurinominali possa essere aumentato. In tal modo la loro estensione verrebbe ridotta, con il risultato di avvicinare di più eletti ed elettori.
Il conflitto tra Renzi e la minoranza del Pd sulla riforma rivela visioni antitetiche di partito e governo?
Se sfrondiamo lo scontro interno al Nazareno dai tanti personalismi e strumentalizzazioni che hanno caratterizzato l’opposizione al premier e hanno preso il sopravvento sulla razionalità, emergono due concezioni differenti di democrazia e funzionamento delle istituzioni rappresentative. Prospettive entrambe legittime. Nel nostro paese è stata importata una visione un po’ anglosassone di partito a vocazione maggioritaria, che tenta di farsi carico di una parzialità più accogliente, aperta, de-ideologizzata.
L’antitesi del Pd con marcata identità socialista, spinto a ricercare punti di incontro nel campo centrista e in quello progressista.
Esattamente. L’abborracciato e improvvisato meccanismo di voto concepito da Renzi prefigura un modello concentrato attorno a poche forze politiche. E rimuove i governi di coalizione. Formula che in Italia alla prova dei fatti si è rivelata responsabile del debito pubblico, delle lungaggini decisionali, dell’impotenza delle istituzioni, della loro esposizione alle offensive di poteri extra-democratici.