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Esiste ancora una politica industriale?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Ho partecipato al 42° Convegno Nazionale dell’ANIMP, l’associazione nazionale di impiantistica industriale.

La conferenza, che si è svolta a Como, è un importante evento dedicato alla filiera del settore dell’impiantistica e coinvolge oltre gli associati, i leader dell’industria italiana, i rappresentanti delle istituzioni e del governo, gli esponenti del mondo accademico e tutti coloro che sono interessati allo sviluppo dell’impiantistica industriale.

Un’occasione di confronto e per cogliere le migliori opportunità di sviluppo e compiere una ricognizione sullo stato di salute del comparto manifatturiero. Provo a presentare alcune riflessioni.

Chiunque si interessi con passione all’economia e alla politica si è sicuramente accorto che è scomparso dal dibattito nazionale il concetto di “politica industriale”.

Una mancanza di attenzione che mi preoccupa, perché faccio fatica a capire come un Paese moderno come il nostro possa fare a meno di una programmazione del settore industriale. Una preoccupazione che aumenta di intensità quando rifletto e guardo sullo scenario che potrebbe aprirsi per i lavoratori di Ravenna o di altre “province industriali”.

I tre settori – se guardo Ravenna – che dovrebbero beneficiare di una politica industriale nazionale, in questo momento, stanno vivendo un momento di palese incertezza.
In primo luogo il porto, principale hub di arrivo di materie prime in particolare per la Pianura Padana, che sta patendo il blocco del progetto di approfondimento dei fondali nonostante le rassicurazioni del ministro delle infrastrutture Del Rio il quale conferma l’idea che lo scalo ravennate è strategico per l’Emilia-Romagna e che servono interventi strutturali.

Altro tema riguarda il settore dell’energia, una delle principali voci di costo delle imprese industriali. L’Italia non utilizza tutte le potenzialità delle risorse nazionali, in particolare del gas metano dell’Adriatico.

Infine la partita che riguarda la chimica, industria base dell’economia manifatturiera: il piano dell’Eni, presentato recentemente, punta soprattutto dalle parole della Presidente Emma Marcegaglia, che «il futuro di Eni sarà sempre più quello di una oil&gas company, con la riduzione di chimica e raffinazione”.

Per affrontare le sfide del futuro occorre fare sistema sia a livello nazionale che a livello globale affinché si trovi una traiettoria di sviluppo per il settore industriale. E non dobbiamo perdere la fiducia in noi stessi o “sprezzarci” troppo.

Da un’elaborazione dati Fondazione Edison risulta che l’Italia è tra i paesi che, nella globalizzazione, hanno conservato maggiori quote di mercato mondiale, mantenendo, dopo l’irruzione della Cina, il 72,6% della quota di export internazionale di prodotti manifatturieri, rispetto a quella che aveva nel1999. Performance migliore di quelle di Francia (59,8%), Giappone (57,3%) e Regno Unito (53,4%).

Il modello produttivo italiano è tra i più innovativi in campo ambientale: per ogni milione di euro prodotto dalla nostra economia, emettiamo in atmosfera 104 tonnellate di CO2, la Spagna 110, il Regno Unito 130, la Germania 143.

L’Italia è uno dei soli cinque paesi al mondo con surplus manifatturiero sopra i 100 miliardi di dollari. L’Italia è il paese con il saldo attivo più alto in 62 dei 496 prodotti che caratterizzano il settore meccanico nel commercio mondiale. Se si estende l’analisi alle prime tre posizioni, l’industria italiana di settore risulta al top per ben 235 prodotti, circa la metà del totale.

L’Italia non è un Paese senza futuro. Dobbiamo affrontare problemi che vengono da lontano, non c’è solo il nostro famoso debito pubblico. E la crisi mondiale si è inserita proprio su questi mali. Non è impossibile rimediare. Basta avere chiaro quali sono i nostri punti di forza e di orgoglio. Come è emerso a Como la nostra industria impiantistica è uno di questi.

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