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L’Italicum favorirà la ricostruzione di un centro-destra liberale e popolare. Parla Calderisi

Fra i voti di fiducia riscossi in Parlamento e gli strappi laceranti con la minoranza del Partito democratico, la riforma elettorale voluta da Matteo Renzi si avvia a passi spediti verso l’ora della verità. Prevista per lunedì sera della prossima settimana, quando l’Aula di Montecitorio deciderà a scrutinio segreto se approvare in via definitiva o respingere il testo della riforma approvata a larga maggioranza dal Senato.

Fautore convinto dell’Italicum è Giuseppe Calderisi, rappresentante del Nuovo Centrodestra con una lunga esperienza politica nel terreno dell’innovazione elettorale e istituzionale. All’esperto di meccanismi di voto, recentemente ascoltato nella Commissione Affari costituzionali della Camera, Formiche.net si è rivolta per capire i risvolti politici di un tema apparentemente avvitato attorno a problemi tecnici.

La fiducia sulla legge elettorale rappresenta una forzatura illegittima da parte del premier?

La scelta è certamente forte, ma assolutamente legittima. La si può anche definire grave e spregiudicata. Ma è altrettanto grave e spregiudicato il quadro che l’ha determinata, cioè il tentativo di utilizzare il voto segreto per mettere insieme una maggioranza impropria – una parte del Pd, Forza Italia, le altre opposizioni e anche qualche pezzetto della maggioranza – al fine di snaturare l’impianto della  riforma, rimandarla al Senato e farla così arenare. È utile ricordare un precedente.

Quale?

Nel 1953 il Presidente del Consiglio e leader della Democrazia cristiana Alcide De Gasperi richiese il voto di fiducia su una riforma maggioritaria. La motivazione venne fornita da Aldo Moro. Il quale, riallacciandosi all’interpretazione di tipo inglese della democrazia parlamentare che fu data nella prima legislatura repubblicana, spiegò che il governo è il comitato direttivo della maggioranza. E che ha il diritto-dovere di mettere in gioco la propria esistenza quando vede il rischio politico di snaturamento di un proprio testo.

Quale fu la tesi contraria?

Per gli oppositori di allora – ma, in sostanza, anche di oggi – valsero gli argomenti usati soprattutto da Lelio Basso e dagli altri esponenti delle minoranze di destra e di sinistra contro Moro: non ci può essere una chiara demarcazione maggioranza-opposizioni, e il governo è solo il comitato esecutivo del Parlamento; anche se si delinea una maggioranza, ciascuna delle componenti parlamentari ha un diritto di veto per cui l’esecutivo può solo recepire passivamente lo stravolgimento di una legge. Una concezione assemblearista della democrazia parlamentare in conflitto con quella delle democrazie governanti dei maggiori paese europei a cui abbiamo bisogno di avvicinarci.

L’Italicum fa compiere un passo in questa direzione?

Sì. Prefigura un governo parlamentare del primo ministro, investito da una forte legittimazione popolare grazie al ballottaggio e all’attribuzione del premio di maggioranza alla singola lista. Cambiamento fondamentale alla luce dei fallimenti delle coalizioni eterogenee e insincere tipiche di tutta la seconda fase della Repubblica.

Condivide dunque la strategia promossa dall’esecutivo.

Senza dubbio. Da trent’anni si parla di riforma del bicameralismo e non si è mai riusciti a realizzarla. Ed è dal 2006 che non si riesce a superare la legge Calderoli, bocciata alla fine dalla Corte costituzionale. L’esito delle elezioni del 2013, con almeno tre poli e senza alcun vincitore in entrambe le Camere, ha messo in evidenza la crisi profonda del nostro sistema politico-istituzionale. Se si vuole evitare di essere obbligati a governi di larghe intese, occorre adottare un sistema caratterizzato da un meccanismo decidente come il ballottaggio. Del resto, l’impianto della riforma corrisponde alle conclusioni maggiormente condivise della Commissione dei 35 saggi nominata dal governo di Enrico Letta nel 2013.

Nel 1993 il Mattarellum fu approvato senza ricorrere a voti di fiducia.

Con Giorgio Napolitano presidente della Camera e Sergio Mattarella relatore della riforma, tutte le forze politiche si comportarono in modo responsabile, non chiedendo lo scrutinio segreto e convincendo tutti i parlamentari a non richiederlo. Tutte le votazioni avvennero alla luce del sole e i deputati non votarono “da incappucciati” come si voleva fare oggi per bloccare la riforma. Se non fosse stato chiesto lo scrutinio segreto non ci sarebbe stato bisogno di porre la fiducia.

La minoranza Pd e le opposizioni criticano la mancanza di contrappesi adeguati rispetto al partito vincente.

Nel Regno Unito, come ricordato dal costituzionalista Augusto Barbera, le prerogative conferite al primo ministro sono molto più ampie rispetto e non esistono i contrappesi presenti nel nostro paese. Oltremanica il governo non è bilanciato da un Capo dello Stato con effettivi poteri, da una Corte Costituzionale indipendente, da magistrati autonomi, dall’istituto del referendum abrogativo. Ma nessuno si sognerebbe di affermare che in Gran Bretagna vige una “tirannia del premier”. Perché lì esiste una cultura secolare della responsabilità, del controllo, dell’opposizione.

Cultura molto fragile in Italia.

Certamente, e infatti abbiamo già molti contrappesi. Ritengo che se ne possano aggiungere altri migliorando la riforma costituzionale all’esame di Palazzo Madama.

Quali?

Si può prevedere che le autorità indipendenti di garanzia e di regolazione siano sottratte all’indirizzo politico del governo. Si può istituire una commissione parlamentare di controllo sulla finanza pubblica, composta paritariamente tra maggioranza e opposizioni e presieduta da un rappresentante della maggiore di queste ultime. Si può stabilire che nelle elezioni dei consigli regionali i cittadini indichino i candidati che ritengono più adatti ad esercitare il ruolo di senatore, affinché l’assemblea scelga tra questi i rappresentanti da inviare a Palazzo Madama. Rilevo in ogni caso che le maggioranze per eleggere il Presidente della Repubblica e per nominare i giudici della Corte Costituzionale sono più consistenti di quella di cui disporrà chi vince le elezioni con l’Italicum.

L’attribuzione del premio di governabilità al singolo partito potrebbe favorire la creazione di liste di coalizione eterogenee e conflittuali.

C’è una grande differenza rispetto alle coalizioni composte da tante liste diverse. Una lista di coalizione sarebbe senz’altro più omogenea, avrebbe lo stesso candidato premier, lo stesso simbolo e lo stesso programma. Ad esempio, non potrebbe mettere sotto lo stesso tetto forze europeiste e forze anti-euro. Il passo avanti è considerevole. A mio avviso, il premio alla lista può favorire il pur difficilissimo processo di aggregazione e ricostruzione del centrodestra. Una lista di coalizione che aggreghi le forze più omogenee dell’area liberale e popolare. Una lista alternativa sia alla sinistra che alla Lega salvinista e lepenista, come l’Ump in Francia.

Un’aggregazione del genere avrebbe possibilità di vittoria?

Giungendo al ballottaggio, questa lista potrebbe chiedere il voto dell’elettorato d’opinione che al primo turno ha votato il Carroccio o altre formazioni. Certamente occorre una proposta politica in campo economico, capace di offrire un nuovo patto fiscale tra Stato e cittadini riducendo contestualmente la spesa pubblica.

L’esclusione della facoltà di apparentamento nell’eventuale ballottaggio non rischia di ridurre la partecipazione dei cittadini nella scelta del governo?

No. Ritengo che in una competizione nazionale determinante per decidere chi deve governare il paese, l’affluenza alle urne non diminuirebbe affatto e potrebbe anzi aumentare. È quanto avvenuto più volte Oltralpe in occasione dei ballottaggi per l’elezione del Presidente della Repubblica. Gli elettori dei partiti che non accedono al ballottaggio sono necessariamente indotti a mettere in secondo piano la scelta identitaria e optare per il ”second best”: il partito che garantisce meglio i loro obiettivi primari anche se esso non corrisponde totalmente alle loro aspirazioni. Si tratta del sistema più democratico che possa esistere, il sistema che sollecita la scelta più matura e consapevole degli elettori.

La convince la reintroduzione delle preferenze?

No. Oltre all’aumento dei costi delle campagne elettorali e al rischio che i nuovi reati di voto di scambio e di traffico di influenze illecite alimentino a dismisura l’attività delle Procure, le preferenze favoriscono la formazione delle correnti organizzate e possono minare l’unità di indirizzo del partito politico. Occorre invece attuare l’Articolo 49 della Costituzione e regolare le elezione primarie per le cariche monocratiche esecutive. Ma la competizione interna ai partiti per selezionare le candidature deve avvenire alcuni mesi prima delle elezioni, non sovrapporsi e confondersi con la competizione elettorale per decidere quale forza politica deve governare l’Italia.

Nel commiato dalla guida del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli parla del “caudillo Renzi che disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche”. E auspica che il Presidente della Repubblica non firmi la riforma elettorale.

Tirare per la giacca il Capo dello Stato, chiunque lo faccia, è inopportuno. Molti aspetti del modo di porsi di Renzi sono certamente criticabili, ma va vista la sostanza dell’azione di governo. Anche grazie al ruolo delle forze di centrodestra che ne fanno parte, il governo sta realizzando anche molti obiettivi che lo stesso Silvio Berlusconi non è riuscito ad ottenere. Chi nel Pd critica Renzi dovrebbe incalzarlo attraverso proposte costruttive, soprattutto in campo economico. E chi vuole realizzare un’alternativa al Pd di Renzi deve essere capace di avanzare progetti alternativi di governo. Ritengo in ogni caso che l’Italicum non sia affatto in contrasto con Costituzione. Semmai è visto con riserva e ostilità da taluni “poteri forti”.

Per quale regione?

Settori dell’establishment preferiscono governi deboli che possano essere indotti più facilmente ad assecondare i loro interessi. Rifiutano l’idea di esecutivi legittimati dalla volontà popolare, più in grado di vincere gli interessi particolari e le resistenze corporative. La priorità è conferire a chi vince la responsabilità politica e i poteri necessari per realizzare quelle riforme strutturali di cui l’Italia ha assoluto bisogno.

Il costituzionalista Michele Ainis ha scritto sul Corriere della Sera che “l’elezione diretta del premier realizzata con legge ordinaria tramite l’Italicum stride con la Costituzione vecchia e anche con la nuova”.

Non c’è l’elezione diretta del premier e nulla che strida con la riforma costituzionale. Come recita la Relazione finale della Commissione per le riforme nominata dal governo Letta – di cui Ainis ha fatto parte e dalla quale è stata tratta l’impostazione generale tanto della legge elettorale che della revisione costituzionale – la riforma prevede un “regime di governo parlamentare del primo ministro in grado di far emergere da una sola consultazione degli elettori la maggioranza parlamentare e l’indicazione del Presidente del Consiglio, in modo da incorporare la scelta del leader nella scelta della maggioranza”. Un’impostazione rispetto alla quale appena quattro esponenti del Comitato hanno fatto mettere agli atti il loro dissenso. Ma tra questi non vi era quello del professor Ainis.


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