Coniugare ambiente e occupazione si può e si deve. Dopo la pubblicazione di Laudato si’, l’Enciclica di Papa Francesco che pone con forza i temi della povertà e della salvaguardia della natura, lunedì 22 giugno si terranno a Roma gli Stati generali sui cambiamenti climatici e sulla difesa del territorio.
Qual è lo scopo dell’evento? Quali gli argomenti affrontati? E quale il legame teorico e pratico con il documento del Pontefice?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione con Formiche.net da Erasmo D’Angelis, coordinatore dell’iniziativa e a capo della Struttura di missione del governo contro il dissesto idrogeologico, che opera insieme al ministero dell’Ambiente guidato da Gian Luca Galletti.
D’Angelis, cosa pensa dell’enciclica?
L’Enciclica del Santo Padre è davvero un atto profondo che segna il passaggio da una epoca all’altra. Che definisce quella per l’ambiente e per il clima come la madre di tutte le battaglie. I Grandi della Terra hanno oggi l’obbligo etico prima che politico di chiudere un accordo summit mondiale di Parigi a dicembre. In questo senso, l’Enciclica è arrivata nel momento in cui c’è una svolta da parte del Governo.
Come nasce l’idea degli Stati generali della prossima settimana?
È un’esigenza dettata dalla situazione che viviamo. Siamo di fronte a effetti drammatici del global change anche nel nostro Paese e sul piano umano, sociale, finanziario. Abbiamo analizzato l’escalation di catastrofi ambientali in Italia: da 4-5 eventi l’anno degli anni ’90 e in quelli precedenti, siamo passati ai 15-20 degli inizi del 2000, per arrivare ai 352 del 2013 e agli oltre 400 del 2014. Numeri che fanno impressione.
Che effetti hanno avuto sul nostro territorio?
Si sono portati dietro vittime, danni e devastazione. Solo l’anno scorso, la spesa per riparare e risarcire i danni causati da disastri ambientali è stata di 4 miliardi di euro.
Quali sono le sfide?
Alluvioni, frane e altri eventi ci hanno insegnato che il dissesto atmosferico colpisce ancora duro su un 10% del nostro territorio nazionale dissestato, in molte zone del Sud e parte del Centro Nord. Desertificazione, siccità, tropicalizzazione: sono queste alcune delle sfide con le quali confrontarsi.
Come affrontare il cambiamento climatico?
Serve coniugare due piani. Il primo è quello internazionale. La trattativa politico-diplomatica in corso deve far sì che a Parigi si firmi un protocollo coerente con gli impegni annunciati e che venga rispettato da tutti i Paesi. Il secondo è un piano nazionale. Il clima che cambia ci pone davanti a una serie di emergenze che vanno affrontate come tali. L’Italia non può agire in modo scoordinato, ma facendo sistema e abbiamo iniziato a farlo. Cento scienziati italiani hanno redatto un documento strategico che identifica 14 macro aree sulle quali intervenire e che vanno dalla fascia costiera, all’edilizia al turismo.
In che cosa si concretizzerà per il nostro Paese?
Bisognerà mettere in moto un piano d’investimenti mirato, che non vuol dire solo spese, ma anche garanzia di occupazione, filiere industriali, tecnologia, innovazione. Pensiamo a cosa s’è fatto con le rinnovabili. L’Italia è il Paese che utilizza più nel mondo l’energia solare. Il 38 percento del nostro fabbisogno elettrico è coperto dal fotovoltaico attraverso quasi 800 mila impianti. Un obiettivo raggiunto grazie agli incentivi, ma anche per una reazione spontanea di famiglie e imprese che hanno investito su questo. Dobbiamo recuperare quello spirito. L’ambiente è un tema fondamentale che non si può ridurre a polemica, ma ha bisogno di un grande sforzo di coesione che, come Paese, siamo assolutamente in grado di realizzare.