Ci sono stati dei momenti nella nostra storia di italiani nei quali tutto sembrava perso, e pareva perduta anche la speranza. Sono stati momenti di lutto, di fame, di paura, con eserciti stranieri sul nostro territorio, e con i capi che erano scomparsi o si erano dati alla fuga: senza andare molto indietro nella Storia, basta pensare al periodo conclusivo della Seconda guerra mondiale. In quei momenti il popolo italiano ha saputo prendere in mano il proprio destino e passare in pochi anni dalle macerie alla ricostruzione. E’ riuscito a farlo perché era un popolo sano, costituito da famiglie. Erano le famiglie dei nostri nonni, dai quali abbiamo tutti ascoltati i racconti del passaggio dalla disperazione a una prospettiva di luce, fondata sul lavoro, sulla fatica e sulla fiducia nel domani.
Oggi viviamo un momento simile, con tutte le differenze di contesto. I dati Istat relativi al 2014 confermano l’esistenza in Italia di uno spread più preoccupante del differenziale fra i titoli del debito pubblico italiano e quelli del debito pubblico tedesco: lo spread fra le nuove nascite e le morti. I demografi e gli economisti seri spiegano senza incertezze che la crisi dell’Italia si lega al fatto che ci sono sempre meno figli: nel 2014 sono nati meno della metà dei bambini che nascevano 50 fa, nel 1964. E se allora c’era il boom economico e oggi c’è la crisi dipende in larga parte da questa ragione! I morti superano i nuovi nati di oltre 90.000 unità: se questo spread resta così come è diventeremo sempre più anziani e scompariremo come nazione.
Sabato scorso a Roma, in piazza S. Giovanni, un milione di persone ha detto di no a questa prospettiva di morte: lo ha detto nei fatti, più che con le parole, invadendo pacificamente tutti gli spazi possibili con bambini, passeggini e carrozzine. Lo ha detto, prima ancora, decidendo di spostarsi dalle proprie abitazioni e dalle incombenze quotidiane, pagandosi il viaggio senza sconti da nessuno (Trenitalia in primis, che volete mica è il concerto del 1° maggio!), senza incontrare – giunti nella Capitale – uno straccio di accoglienza, e beccandosi un doppio temporale, prima e dopo la manifestazione. Con un semplice fatto di essere lì il popolo delle famiglie ha mandato un messaggio chiaro all’intera Nazione, prima ancora della contrarietà all’ideologia del gender e al ddl Cirinnà: il messaggio è che questo destino non è né scontato né ineluttabile; qual è il segno più grande di speranza che mettere al mondo un bambino? S. Giovanni sabato era un’area piena di bambini e dei loro genitori!
La reazione mediatica di stupore deriva dal fatto che larga parte delle redazioni, come delle stanze dei Palazzi delle istituzioni, non hanno una chiara percezione della realtà italiana, per lo meno nella sua interezza: minoranze chiassose occupano spazi mediatici e attraggono risorse finanziarie e attenzioni istituzionali in modo del tutto sproporzionato alla loro consistenza e alla loro utilità sociale. Contemporaneamente quel che tiene in piedi la Nazione, cioè i milioni di famiglie che ogni giorno devono fare i conti con le difficoltà del lavoro e con l’oppressione del fisco (in questi giorni come non mai) subiscono l’oltraggio dell’imposizione del gender per i propri figli, con annessa espropriazione di un’area educativa di esclusiva pertinenza dei genitori, e vedono equiparata la loro unione con quella di due persone dello stesso sesso.
Riempiendo oltre ogni misura S. Giovanni e i luoghi circostanti, il popolo delle famiglie non ha avanzato rivendicazioni, né – come ha ipotizzato chi così ha provato a giustificare la propria assenza – rifiuta il dialogo o il confronto. Sa bene bene però che il dialogo ha senso se parte da una posizione netta: non c’è conflitto fra la manifestazione in piazza e il confronto, anzi il confronto riesce meglio, perché si basa su una identità chiara. Il dopo 20 giugno passa ora la palla alla politica: non quella degli onorevoli Scalfarotto o delle senatrici Cirinnà, dai quali non ci si può attendere altro che ingiurie ed escandescenze; quella, piuttosto, di chi dalla sera del 20 giugno ha scelto un cauto silenzio. Il silenzio è virtuoso se induce alla riflessione, e quest’ultima non può che partire da un dato certo: S. Giovanni non va presa per il naso, altrimenti la prossima volta per contenere tutti ci si ritroverà al Circo Massimo.
Le risposte attese sono immediate e di medio termine. Nell’immediato tutti si aspettano che allenti l’imposizione Unar-Miur del genere nelle scuole: i prossimi casi che venissero fuori non resterebbero circoscritti al singolo istituto scolastico, come è accaduto finora. Il ddl Cirinnà non può andare avanti, magari col contentino dell’eliminazione della adozione: le Corti europee e la Corte costituzionale hanno detto più volte che ogni Stato dell’Ue è libero di scegliere in tema di famiglia e matrimonio, salvi i diritti riconosciuti ai componenti di una convivenza, che in Italia ci sono e sono ampi. Se però il regime del matrimonio viene reso praticamente uguale a quello delle unioni civili, diventa discriminatorio tenere fuori la singola voce dell’adozione, e ogni giudice è legittimato a colmare la lacuna e a eliminare la “discriminazione”: optare per una soluzione del genere costituirebbe una presa in giro che non verrebbe digerita. Nel medio termine, ci si aspetta una equilibrata ma seria introduzione del fattore famiglia in ogni intervento di carattere economico-fiscale.
Il milione del 20 giugno non è fatto nemmeno in minima parte di estremisti: siamo tutti persone ragionevoli. Proprio per questo desideriamo ragionare e confrontarci, non ricevere ennesime buggerature (si dice così a Firenze, vero?).