“Senza Ilva e senza acciaio l’Italia sarebbe un Paese più piccolo nello scenario globale internazionale”: queste parole pronunciate a Bari dal Presidente della Confindustria Giorgio Squinzi rendono ancora una volta evidente a tutti coloro che osservano senza pregiudizi antindustrialisti la situazione dello stabilimento ionico la sua enorme rilevanza non solo per l’industria meccanica del Paese, ma anche e direi soprattutto per il suo posizionamento competitivo nel mercato mondiale.
Bisogna pertanto tornare a riflettere su quelle parole perché rallentare o, peggio, bloccare in questa fase la produzione sia pure a regime ridotto del Siderurgico rallentandone il processo di ambientalizzazione significherebbe infliggere un colpo di maglio durissimo all’economia della città di Taranto, a quella della sua provincia, della Puglia e al ruolo dell’Italia quale grande potenza industriale internazionale.
Il blocco della produzione inoltre – è bene ricordarlo a chi volesse ignorare o sottovalutare questo suo gravissimo effetto – devasterebbe il conto economico dell’amministrazione straordinaria, sostenuta peraltro da prestiti di istituti di credito già esposti nei confronti della società e pertanto da tutelare, dal momento che le banche gestiscono com’è noto beni di terzi, ovvero risparmi di depositanti e capitale sociale di azionisti; il blocco toglierebbe dal mercato per un tempo comunque lungo un competitor che la concorrenza internazionale continua a temere, se è vero che le esportazioni di acciaio da Taranto hanno costituito per anni la voce più elevata dell’export regionale.
Sui danni all’economia locale ci siamo già soffermati in precedenti occasioni: perdita retributiva secca per migliaia di addetti diretti e, presumibilmente, per quelli delle aziende dell’indotto che già sono state duramente provate dall’avvio della procedura di ammissione all’amministrazione straordinaria dell’Ilva. Il porto – dopo la messa in liquidazione della TCT – perderebbe a lungo anche il traffico di materie prime e prodotti finiti della grande fabbrica, mentre agli autotrasportatori verrebbero meno le commesse di movimentazione per le loro piccole aziende. A loro volta gli esercizi commerciali in cui si spende il reddito dei dipendenti del Siderurgico registrerebbero una ulteriore, pesante flessione dei loro incassi.
Anche i Politecnici di Milano e di Bari che intrattengono rapporti di collaborazione – ben più consolidati come quelli del primo, o in fase di avvio come quelli del secondo – molto probabilmente perderebbero un interlocutore qualificato per lungo tempo.
E che ne sarebbe poi degli stabilimenti di Genova e Novi Ligure, senza i semilavorati di Taranto? E l’industria di trasformazione del Nord dove acquisterebbe i laminati di cui ha bisogno? Da fornitori esteri a prezzi maggiorati, naturalmente. E non è già molto preoccupante che la Fiat Chrysler non abbia smentito la notizia riportata da un settimanale secondo cui per il suo sito di Melfi in piena fase di rilancio non utilizza più i coils di Taranto? E d’altra parte che sicurezza ha di forniture nelle quantità e nei tempi richiesti per una produzione in grandi numeri come quella delle Jeep Renegade e delle 500X? E chi fornirebbe i tubi per la TAP?
Certo, le sue commesse verrebbero soddisfatte in logiche di mercato, ma con gli impianti fermi l’Ilva non avrebbe neppure la possibilità di competete con altri fornitori. E per le costruzioni navali della Fincantieri, che si sono sempre avvalse di lamiere di grande spessore dell’Ilva dove le si acquisterebbe, ora che le commesse di grandi navi da crociera arricchiscono il portafoglio della società che è tornata a rappresentare uno dei punti di forza dell’industria nazionale ?
Insomma con il blocco del Siderurgico si profilerebbe una probabile catastrofe per l’economia locale e per comparti strategici dell’industria nazionale: non bisognerebbe allora da parte di tutti riflettere a fondo sui molteplici effetti di un malaugurato fermo del sito? Chi se ne può assumere la responsabilità, senza valutare l’insieme delle conseguenze che ne deriverebbero e che abbiamo appena ricordato?
Occorre dunque equilibrio, saggezza, accortezza nel prendere decisioni che potrebbero spezzare la spina dorsale dell’industria meccanica nazionale. E questa spina dorsale ha i suoi cardini nel Sud, in Puglia, a Taranto, non in Germania o in Cina.
Federico Pirro