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Fincantieri e Ilva. Perché il decreto Renzi è sacrosanto

Il decreto legge con il quale il Governo ha riaperto il cantiere navale di Monfalcone e impedito lo spegnimento dell’Altoforno numero 2 all’Ilva di Taranto è stato salutato con favore da quasi tutta la grande stampa italiana, da Confindustria e da una buona parte della dirigenza sindacale. L’Associazione nazionale magistrati invece ha espresso esplicito dissenso.

Alcune considerazioni si impongono: il decreto consente la riapertura del grande cantiere navale di Monfalcone e la prosecuzione di marcia dell’AFO2, considerati impianti di “interesse strategico nazionale” ai sensi della legge 231/2012, approvata nel dicembre di quell’anno per consentire la facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto sequestrata alcuni mesi prima in data 26 luglio. Veniva dunque con quella legge introdotta la categoria di impianti di “interesse strategico nazionale” che, in quanto tali, non dovrebbero essere fermati da interventi extragestionali perché il loro esercizio è rispondente a un interesse generale del Paese. Un Paese – è appena il caso di ribadirlo – che è in competizione proprio nella cantieristica e nella siderurgia con agguerritissimi competitor esteri rispetto ai quali non può in alcun modo permettersi perdite di attività produttive, causate, lo si ripete, da decisioni esterne alla gestione aziendale. E’ bene che di questo principio, sancito da una legge dello Stato approvata in Parlamento e promulgata dal Capo dello Stato, prendano atto finalmente tutti, ad ogni livello, con le intuibili conseguenze che ne derivano.

Ma questo significa forse che l’esercizio di tali fabbriche sia legibus solutus, ovvero al di fuori cioè del pieno rispetto di ogni normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela ambientale? Nient’affatto, ed è questo un altro punto sul quale è bene riflettere a fondo e con argomentata pacatezza, intensificando così il dialogo con la Magistratura inquirente e giudicante che giustamente rivendica il pieno esercizio della sua funzione giurisdizionale. E’ un tema questo su cui si sofferma con finezza argomentativa sul Corriere della Sera di ieri domenica 5 luglio il vicepresidente del CSM Giovanni Legnini.

Per Monfalcone il Governo ha dato l’interpretazione autentica a un legge nazionale che aveva recepito direttive comunitarie in materia di trattamento di rifiuti e scarti di lavorazione, e la cui formulazione testuale aveva lasciato dubbi interpretativi che avevano portato la Cassazione ad una determinata statuizione che, a sua volta, aveva costretto la dirigenza del cantiere a metterne in libertà le maestranze. Per Taranto, invece, è stato recepito quanto il Pm e il Gip avevano sottolineato nel disporre prima, e nel convalidare poi, il sequestro “senza facoltà d’uso” dell’Altoforno 2 – ovvero la necessità di misure urgenti per la sicurezza dei lavoratori, dopo il tragico incidente in cui era scomparso l’operaio Alessandro Morricella – ma si è stabilito nel disporne la facoltà d’uso, peraltro imposta da cogenti e non eludibili vincoli tecnici legati all’esercizio dell’intero stabilimento, che l’azienda deve presentare alla Magistratura “entro il termine perentorio di 30 giorni” dalla data del sequestro il programma di attuazione di tutti gli interventi tecnici previsti per garantire la sicurezza sull’Altoforno, da eseguirsi poi sotto il vigile controllo di Vigili del Fuoco, Spesal e Inail.

La gestione commissariale pertanto – e non si dimentichi al riguardo che l’Ilva è in amministrazione straordinaria il cui regime presenta evidenti profili pubblicistici – deve presentare il piano di interventi per mettere in sicurezza l’impianto: interventi che sono già stati avviati su prescrizione dello Spesal – che tuttavia non aveva chiesto la fermata degli impianti – e che devono essere completati alla luce degli elaborati tecnici preparati su incarico dell’azienda dalla Paul Wurth, primaria società internazionale in materia impiantistica.

Il punto di dissenso fra Governo e Procura di Taranto è stata la necessità di mantenere in esercizio l’impianto il cui spegnimento avrebbe costretto la direzione di stabilimento a spegnere anche l’unico altoforno al momento in esercizio ovvero il 4, perché altrimenti non vi sarebbe stata sufficiente alimentazione alla centrale elettrica interna che trasforma in energia i gas di scarico delle lavorazioni siderurgiche. Pertanto, su questo come su altri vincoli tecnici esistenti in impianti a ciclo integrale – che fossero interessati da provvedimenti di sequestro – bisognerebbe lavorare, a nostro avviso, con nuove e più precise formulazioni legislative in materia di sicurezza sul lavoro.

Il decreto legge del Governo è stato firmato dal Presidente Mattarella – che è anche Presidente del Consiglio superiore della Magistratura – e che, è bene ricordarlo, era giudice costituzionale quando nell’aprile del 2013 la Consulta ritenne costituzionale la legge 231, che abbiamo richiamato in precedenza, rigettando così un’istanza di incostituzionalità presentata dalla Magistratura tarantina.

Federico Pirro (Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia)

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