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Ilva, ecco come i magistrati si trasformano in politici

L’arrivo venerdì scorso dei carabinieri nell’Ilva e la denuncia di 16 operai dell’azienda e di 3 della Semat per il reato di “violazione dei sigilli dell’Autorità giudiziaria” potrebbe riacutizzare un’intensa dialettica fra la Procura di Taranto e il Governo con riferimento all’ultimo decreto legge che ha consentito la prosecuzione dell’attività produttiva dell’Altoforno n.2, sulla cui costituzionalità il Gip Rosati ha chiamato in causa la Consulta? E può il ricorso stesso inficiare e perciò sospendere la piena vigenza del decreto legge del Governo?

Assolutamente no, come aveva limpidamente affermato per primo lo stesso Procuratore Capo Franco Sebastio in un’ampia intervista apparsa sul Corriere del Mezzogiorno giovedì 16 luglio. Egli, dopo aver ricordato con ampiezza di argomentazioni le ragioni che hanno indotto il Gip a rivolgersi alla Consulta, rispondendo alla domanda del giornalista che gli chiedeva se sino alla pronuncia della Corte il decreto conservasse efficacia, lasciando così gli impianti nella disponibilità dell’Ilva, ha testualmente affermato: “Certo che è così. Il magistrato può solo sollevare dubbi di incostituzionalità, ma non può certo annullare l’efficacia o l’applicazione di una legge”.

Un’affermazione – questa dell’autorevole magistrato tarantino – che trova rispondenza nel parere del prof. Sabino Cassese, consultato al riguardo dell’Ilva, secondo il quale “si può affermare con sicurezza che il decreto legge sul quale sia stato sollevato il cosiddetto dubbio di costituzionalità nella fase antecedente la sua conversione e alla conclusione del giudizio di costituzionalità, è pienamente efficace ed è dotato di autonomia esecutiva. Va quindi rispettato per legge da tutte le Autorità della Repubblica”.

Le affermazioni di Sebastio, pertanto, sono di assoluto rilievo costituzionale perché da un lato egli afferma a chiare lettere che la Magistratura non è legibus soluta, ovvero svincolata dal rispetto delle leggi – sulla cui costituzionalità può legittimamente chiedere l’intervento dirimente della Consulta – ma delle quali non può annullare l’efficacia, essendo anche impegnata a farle rispettare; e dall’altro lato, sia pure implicitamente Sebastio ricorda a tutti che la Magistratura, oltre a non essere legibus soluta non è neppure conditor legis, ovvero soggetto di produzione legislativa, funzione esclusivamente riservata nel nostro ordinamento costituzionale al Parlamento.

L’azienda pertanto in un comunicato ha informato di aver operato nel pieno rispetto della legalità in ottemperanza alle previsioni del decreto legge 92/15, ricordando che i dipendenti identificati hanno eseguito le previsioni di un decreto legge “normato su presupposti di urgenza” ed ha garantito “la continuità produttiva dell’Altoforno”.

Quanto accaduto negli ultimi giorni qualche altra considerazione la meriterebbe, a nostro sommesso avviso. La prima: il decreto legge, come prevede la nostra Costituzione, è stato firmato dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, dopo che i competenti uffici del Quirinale ne hanno verificato la rispondenza ai requisiti di costituzionalità che li rendono possibili: ed è facilmente ipotizzabile inoltre che il Presidente Mattarella, già docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Palermo e componente della stessa Corte costituzionale sino al giorno della sua elezione a Capo dello Stato abbia letto con particolare attenzione e competenza personale il testo che gli veniva sottoposto per la firma.

Un ultimo ricordo: il Prof. Sergio Mattarella era giudice della Corte costituzionale che riaffermò la piena costituzionalità della legge 231, la prima approvata dal Parlamento dopo il sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva, sulla quale la Procura tarantina aveva sollevato, peraltro legittimamente, dubbi di costituzionalità.

Federico Pirro

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