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Come ovviare agli scioperi selvaggi nei servizi pubblici essenziali

Adelante Pedro, con juicio. Ovviamente Pedro sta per Pietro.  Ci riferiamo al solito Ichino, il quale non ha perso tempo per proporre un disegno di legge che, in pratica, consegna l’esercizio del diritto di sciopero alle organizzazioni sindacali maggioritarie. Il conflitto sociale è sempre difficile da gestire. Già ora per l’astensione dal lavoro nei servizi essenziali sono previste delle regole precise e severe, con le relative sanzioni in caso di violazione. Il fatto è che tali regole spesso finiscono nel dimenticatoio una volta che è finita l’emergenza e tornata una normalità relativa. Le proposte di Ichino, come al solito, sono intelligenti e utili. Ma il problema vero sta tutto in una domanda: che cosa succede, quando, nonostante le regole, gli scioperi selvaggi si fanno lo stesso? In altri momenti storici, si è scioperato anche quando astenersi dal lavoro era considerato e punito come un reato. Il mio professore di diritto del lavoro all’Università diceva sempre che uno sciopero si legittima sulla base della sua riuscita. Erano altri tempi, ma in fondo c’era un fondamento di verità in quelle parole.

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Volendo, le procedure vigenti per l’esercizio del diritto di sciopero proposto possono essere estese anche ad altri ambiti come i beni culturali. Io consiglierei, comunque, di seguire il percorso compiuto tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 del secolo scorso, quando venne varata la legge sullo sciopero nei servizi essenziali. Bisogna ri-partire, però, dalle autoregolamentazioni sindacali per recepirle, poi, in via legislativa dopo un adeguato periodo di sperimentazione.

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Giusto limitare le proteste o si ledono le garanzie costituzionali? La materia è delicatissima. Si tratta di conciliare diritti egualmente fondamentali: quello dei lavoratori allo sciopero e quello dei cittadini alla mobilità, all’informazione, alla salute e a quant’altro garantisce e tutela beni primari e fondamentali. Bisogna cominciare ad applicare le regole che già esistono, compreso il potere di sospendere e rinviare l’astensione dal lavoro se essa coincide con un particolare periodo dell’anno. Poi, occorre fare maggiormente uso dello strumento della precettazione. Che è un’arma efficace e legittima se la si utilizza in modo adeguato e tempestivo.

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Sfidare i sindacati sul terreno della democrazia (che è poi lo stesso dell’effettiva rappresentatività) è un principio sacrosanto. Margaret Thatcher vinse la sua battaglia con le Unions proprio sul terreno della democrazia, stabilendo per legge che le norme che imponevano l’iscrizione obbligatoria  al sindacato per essere assunti e vedersi applicare il contratto di lavoro, fossero valide solo se approvate da un referendum. Il problema torna sempre, però, al punto dolente: che fare quando le regole saltano e i lavoratori scioperano lo stesso? Anche la Thatcher dovette confrontarsi per un anno intero con i minatori in sciopero.

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Fino ad ora, in assenza di una legge attuativa dell’art. 40 Cost. (salvo che per l’astensione nei servizi essenziali), lo sciopero è stato regolato dal ‘’diritto vivente’’ ovvero dalla giurisprudenza anche di rilievo costituzionale, secondo la quale pure una coalizione spontanea di lavoratori è abilitata a proclamare uno sciopero. Dubito che la Consulta possa consentire un capovolgimento tanto significativo come quello prefigurato nel disegno di legge di Pietro Ichino.

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