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Sapete in cosa le università italiane sono migliori di Harvard e Stanford?

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Che basi scientifiche hanno le classifiche internazionali sulle Università che ogni anno suonano il de profundis agli atenei italiani? “Labili se non inesistenti”, scrivono i ricercatori del magazine online sulla ricerca Roars, e per dimostrare che il sistema universitario italiano, pur sottofinanziato, nel suo complesso non è meno efficiente di quelli delle maggiori nazioni straniere, hanno messo in atto un esercizio pedagogico che ribalta la classifica.

COME MISURARE L’EFFICIENZA DELLE UNIVERSITÀ

Quest’anno, per trovare nella Classifica ARWU 2015 la prima università italiana, Roma Sapienza, bisogna scendere oltre il 150-mo posto. Ma l’efficienza dei sistemi universitari nazionali, ricorda Giuseppe De Nicolao, fra i fondatori di Roars e professore ordinario presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pavia, non si valuta in base al numero di atenei che entrano nelle posizioni di testa di queste classifiche, ma rapportando il numero complessivo di articoli scientifici  prodotti su scala nazionale – e le relative citazioni – alla spesa per la ricerca.

“L’Italia è la nona nazione al mondo per articoli scientifici pubblicati nel 2012, mentre è la settima per il loro impatto, misurato dalle citazioni  (SCImago Country Rankings).

Il dato è ancora più interessante se si confrontano le nostre spese in università e ricerca con quelle delle nazioni che ci precedono e spiega il numero, relativamente elevato di atenei italiani che riescono ad entrare nelle classifiche internazionali (20 atenei su 500 della classifica ARWU 2015, il che pone l’Italia al sesto-ottavo posto, a pari merito con Canada e Australia).

“Eppure, – sottolinea il ricercatore – l’unica notizia che “buca” è l’assenza dell’Italia dall’Olimpo delle prime 150 università, fornendo una ghiotta occasione per denunciare inefficienza e irrilevanza dell’università italiana e dei suoi docenti. Tutti questi discorsi, che appaiono indiscutibili all’uomo della strada, trascurano però un aspetto essenziale, ovvero quello delle risorse destinate all’università e alla ricerca”.

L’ESERCIZIO PEDAGOGICO

Secondo Roars non si possono confrontare gli atenei italiani con le “World Class Universities”, senza mettere a confronto le risorse finanziarie. La spesa pubblica italiana destinata all’università, infatti, è – in rapporto al PIL – la penultima in Europa e tra le ultime dell’OCSE2. Una distorsione prospettica di cui nessuna delle classifiche internazionali degli atenei terrebbe conto.

Per valutare la distanza delle Università italiane rispetto all’eccellenza mondiale Roars ha messo a confronto le prime 20 università in classifica con le 20 università italiane che vi sono elencate. “Un rudimentale esercizio pedagogico – ha specificato il ricercatore  – che, senza pretese di scientificità, aiuti anche i non esperti a mettere nella giusta prospettiva i risultati delle classifiche internazionali”.

Sfogliando i bilanci di questi 40 atenei Roars ha calcolato quanti milioni di dollari occorrono a ciascun ateneo per conquistarsi un punto ARWU. Per cui il migliore non sarà più quello in testa alla classifica generale, ma quello che ha fatto l’uso più efficiente dei soldi spesi.

LA CLASSIFICA

Ecco il risultato dell’esperimento di Roars: otto atenei italiani nei primi 10 posti. A reggere il confronto sono solo Cambridge e Princeton che si sono posizionati rispettivamente al quinto e settimo posto.

“Insomma – si legge nello studio –  se ragioniamo in termini di efficienza le università “top 20” della classifica di Shanghai faticano a competere con gli atenei italiani, che in media spendono circa 36 milioni di dollari per ogni punto ARWU contro i 55 milioni spesi in media dagli atenei “top 20”.

QUESTIONE DI PROPAGANDA

Che fare? “Attraverso la fusione di alcuni atenei italiani, si potrebbe comodamente entrare nella top 20, spendendo anche di meno di chi siede già in questo Olimpo. Per esempio, basterebbe fondere le tre università statali milanesi (Bicocca, Politecnico e Statale) per creare un mega-ateneo (che potremmo ribattezzare BiPS University of Milan) il quale entrerebbe comodamente nella top 20 e le cui spese annuali sarebbero decisamente inferiori a quelle del Politecnico di Zurigo”.

L’obiettivo? Esclusivamente “quello propagandistico nei confronti di chi crede alla pseudoscienza delle classifiche degli atenei”.

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