Ha avuto ragione Renzi a chiedersi nella Direzione dello scorso 7 agosto dedicata ai problemi del Mezzogiorno se vi sia anche nel PD la piena percezione di cosa significhi per il Paese essere intervenuti come Governo per il rilancio dell’Ilva. Per comprenderlo, basti guardare a quello che sta accadendo nel grande stabilimento di Taranto proprio in queste ultime settimane: con il riavvio dell’altoforno 1 – interessato da lavori di ambientalizzazione previsti dall’Aia per un importo di 114 milioni con l’impiego di circa 700 addetti – che si affianca così agli altiforni 2 e 4 già in esercizio, con la rimessa in marcia dell’acciaieria 1 e con quella che a breve riguarderà il treno nastri 1, il Siderurgico ionico punta a tornare entro l’anno ad una produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio, che è la soglia massima possibile, considerando che l’altoforno 5, il più grande del sito e fra i maggiori d’Europa, è spento da marzo per rifacimento e non rientrerà in produzione se non nella primavera del 2016.
L’impegno del gruppo dirigente della società, dunque, è concentrato non solo nella puntuale realizzazione degli adempimenti previsti dalle prescrizioni della nuova Aia – al riguardo l’Ispra sta per consegnare al Ministero dell’ambiente i risultati delle rilevazioni compiute a fine luglio per verificare lo stato di avanzamento di quanto in essa previsto – ma nel rilanciare la produzione, riconquistando segmenti di mercato progressivamente perduti dal 26 luglio del 2012, e cercando così di ridurre le perdite, stimandosi al momento un ebitda negativo per il 2015 fra i 280 e i 310 milioni.
E’ bene ricordare tutto quanto riguarda i cicli di produzione del grande impianto, perché in realtà gli estremisti dell’ambientalismo locale – quelli per intenderci che da anni vorrebbero la dismissione coatta della fabbrica – cercano costantemente di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica cittadina e nazionale solo sui problemi ambientali dello stabilimento, nel quale invece sono in corso massicci investimenti su diverse aree per ammodernarle, renderle ecocompatibili e rilanciarne le funzioni produttive.
La battaglia dunque ingaggiata e combattuta con determinazione dal Governo, – e dal Parlamento che ne ha approvato i provvedimenti in favore della continuità produttiva di un sito che è un impianto “di interesse strategico nazionale” – ha molteplici valenze così riassumibili: 1) occupazionali (stiamo parlando della più grande fabbrica d’Italia con i suoi 11.331 addetti diretti); 2) economico-produttive, perché bisogna riconquistare la clientela perduta, fra cui la Fiat Chrysler, cercando di ridurre le perdite di gestione, causate sinora soprattutto dal numero limitato degli impianti in esercizio; 3) impiantistiche, perché si vuole dimostrare con gli imponenti lavori di ambientalizzazione in corso – che culmineranno con la copertura degli enormi parchi primari, minerali e fossile, estesi per 700 metri di lunghezza e 500 di larghezza – che il Siderurgico ionico può diventare una grande fabbrica ecosostenibile.
Giusto per dare ai lettori un’idea ulteriore di quanto sta per avvenire nello stabilimento, basti pensare che per il rifacimento integrale dell’AFO5, dal crogiuolo alla bocca di carica, sono previsti oltre 200 milioni di investimenti con un impiego di circa 800 occupati a regime impiegati sul cantiere e dipendenti di imprese impiantistiche e di montaggio. Entro l’ultimo trimestre dell’anno in corso poi è previsto l’avvio di due depolverazioni secondarie dell’agglomerato (l’area dove viene lavorato il minerale di ferro), mentre si avvierà anche la depolverazione primaria costituita dal montaggio di un nuovo filtro a tessuto sul camino E312, il più alto dell’Ilva, che abbatterà ulteriormente le emissioni di diossina.
Ed infine, per la ciclopica copertura dei parchi minerali, la commessa è stata già affidata alla Cimolai, leader nel mondo per lavori in acciaio di grandi dimensioni; per realizzarla, insieme al completamento degli altri lavori, sono assolutamente necessarie le risorse finanziarie che si attendono con il ritorno in Italia dalla Svizzera di 1,2 miliardi di euro sequestrati a suo tempo ai Riva e che devono, nelle intenzioni del legislatore italiano, essere destinati esclusivamente ai lavori di ambientalizzazione della fabbrica.
Si comprende allora il significato delle parole di Renzi in direzione quando si chiede se tutti siano pienamente consapevoli di cosa stia accadendo a Taranto e se comprendano l’imponenza dei lavori in corso in quello che resta il più grande stabilimento siderurgico singolo a ciclo integrale d’Europa? E si comprende anche la sfida ‘epocale’ in cui è impegnato il Governo? E a chi ha affermato imprudentemente in queste settimane che il Presidente del Consiglio non avrebbe una ‘visione’ del Mezzogiorno, basterebbe ricordare che il Siderurgico di Taranto non è solo il perno di gran parte dell’industria meccanica italiana, ma che le sue minori produzioni hanno rappresentato negli anni 2013-2015 circa 9,8 miliardi di euro di Pil cumulato perduto per il Paese, pari allo 0,6% del totale nazionale.
Per tale ragione, rilanciare sul mercato un’Ilva resa pienamente ecosostenibile significherà non solo sconfiggere l’estremismo ambientalista locale, ma anche i competitor internazionali della fabbrica ionica che certo da anni non sono affatto disattenti agli sforzi degli ambientalisti tarantini che vorrebbero ottenere la dismissione coatta del Siderurgico.