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Tutte le frottole sulla deportazione degli insegnanti

Si fa presto a parlare di “deportazione degli insegnanti”. E’ facile, probabilmente porta consenso a chi lo fa, ma è estremamente disonesto. Comprendiamo le difficoltà di chi deve spostarsi, ma se la maggior parte delle cattedre sono nelle città del Centro Nord, mentre gli insegnanti da stabilizzare sono in prevalenza al Sud, che cosa deve fare il ministero? Spostare gli studenti e le loro famiglie sotto la casa dei docenti? Se Maometto non va alla montagna, tocca alla montagna raggiungere il profeta? E’ più o meno la solita storia. I nostri concittadini meridionali affollano i concorsi pubblici, magari vanno a lavorare per alcuni anni al Nord (aiutandosi con qualche assenza per malattia o qualche parente da assistere), ma poi si raccomandano a tutti i santi patroni (e non solo) per avvicinarsi a casa. Così si perpetuano gli squilibri nelle pubbliche amministrazioni. E nella scuola.

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Se i quotidiani e i tg spiegassero come stanno le cose  – e perché non si può gestire diversamente il personale scolastico – svolgerebbero un compito di educazione civica più utile di quella di riprendere le insegnanti sarde che, riunite in un aeroporto, rifiutano di partire per il Continente.

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Negli Usa, da dove è tornato Ignazio Marino, è normale recarsi a studiare lontano da casa, e trovare lavoro in una località diversa da dove si sono compiuti gli studi.

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Si è tenuta a Roma una manifestazione a sostegno dell’ordine democratico e contro la criminalità davanti alla stessa chiesa in cui erano state celebrate le esequie di Vittorio Casamonica. Così invece di un solo funerale se ne sono svolti ben due, a breve distanza di tempo.

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