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Eni, ecco chi all’estero mugugna per il colpo di Descalzi in Egitto

La scoperta del mega giacimento offshore a largo delle coste dell’Egitto ha già fatto le prime vittime. Ieri, sia la compagnia statunitense, Noble Energy, che quella israeliana Delek Group, hanno perso in soli 30 minuti quasi il 6 per cento in borsa. Sia la Noble che la Delek sono, infatti, responsabili dell’esplorazione e della distribuzione del gas prodotto in un altro mega giacimento che si trova in quella zona del Mediterraneo, Leviatano.

Prima di quello scoperto in questi giorni dal Cane a sei zampe, Zohr, Leviatano era la riserva di gas più grande esistente all’interno del Mare Nostrum. Tutto vantaggio di Israele, visto che il pozzo si trova nella sua zona economica esclusiva. Anche Leviatano ha numeri impressionanti: secondo lo Us Geological Survey, il giacimento contiene circa 1,7 milardi di barili di petrolio e 122 trilioni di piedi cubici di gas. Le difficoltà che la Noble Energy – specializzata nelle trivellazioni ad alta profondità nel Golfo del Messico – ha incontrato per mettere a regime la produzione di Leviatano rappresentano un monito anche per Eni, secondo alcuni addetti ai lavori.

Le operazioni sono iniziate nel lontano 2010 e, anche a causa della estrema profondità del pozzo principale (quasi 7 mila metri), l’avvio della produzione è via via slittato nel tempo, ora si parla del 2018. Va ricordato che il gruppo capitanato da Claudio Descalzi punta già su un mega giacimento di gas, quello kazako di Kashagan, il cui sviluppo ha drenato risorse economiche ed aziendali crescenti senza decollare a pieno regime.

Le caratteristiche geofisiche della scoperta egiziana sono sicuramente differenti, così come non va sottovalutata la complessità di un giacimento come quello di Kashagan (sul quale più o meno tutte le grandi compagnie si sono arenate), eppure al di là del giusto entusiasmo per l’impresa di palazzo Mattei, occorrerà aspettare qualche anno per capire se come Zohr sarà una scoperta profittevole, come ha fatto capire lo stesso capo azienda del Cane a sei zampe. Certamente, se si vuole – come sembra aver fatto capire Descalzi – chiudere la partita entro tre, quattro, anni, occorre accelerare e di molto sul versante infrastrutturale. Una volta soddisfatta la domanda interna, il gas egiziano dove dovrebbe andare?

Come già segnalato su Formiche.net, gran parte del successo della politica energetica del Paese dipende dallo sviluppo di collegamenti con Cipro per poi approdare in Grecia e da li agganciarsi alla rete del gas europea. Il problema è degli israeliani che hanno il gas, ma non avendo mercati di sbocco, perché mancano le infrastrutture per trasportarlo a poco prezzo, non hanno i soldi per investire di ritorno sull’esplorazione.

Lo stesso gap potrebbe scontarlo il Cairo senza un adeguato piano di espansione dei rigassificatori e delle rotte di gas naturale liquefatto. Port Said, come ha già dichiarato il presidente Al Sisi, dovrebbe diventare il nuovo hub energetico dell’Egitto. Punto strategico naturalmente parte del Canale di Suez. Ma chi mette i soldi? Non si può pensare che anche in questo caso l’impegno economico possa essere sostenuto solo da Eni. Se lo stesso governo del Cairo decidesse di ripagarsi queste opere attraverso una rigida politica di royalties? Per Eni sarebbe una beffa. Cipro, da parte sua, ha da sviluppare le sue di risorse, principalmente il giacimento di Afrodite e ha già cercato di fare sponda con Tel Aviv.

Il tema della rivalità energetica nel bacino levantino del Mediterraneo torna, dunque, ad essere concreto. Con la produzione di Leviatano che stenta a partire, il governo israeliano non ha sicuramente gioito davanti l’annuncio dell’azienda petrolifera italiana. Così come non lo hanno fatto i membri del cartello Opec, gli iraniani in particolare che si stanno apprestando ad aumentare l’outpout proprio nel gas.


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