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Il mio ricordo di Pietro Ingrao

Nell’ottava legislatura (1979-1983) i deputati del Gruppo comunista alla Camera erano distribuiti, nei due spicchi del lato sinistro dell’emiciclo, in rigoroso ordine alfabetico. Questo fece sì che il mio seggio fosse collocato tra Carla Gravina e Pietro Ingrao. Purtroppo Carla Gravina (per i giovanissimi: una bella, colta e intelligente attrice degli anni ’60 e ’70) non veniva quasi mai; invece Pietro Ingrao, nonostante che fosse reduce dalla Presidenza della Camera nella legislatura precedente e tra i massimi dirigenti del partito, era disciplinatissimo: raramente mancava una seduta.

Erano sedute lunghissime, anche per i frequenti episodi di ostruzionismo del Gruppo radicale; così la recluta imberbe ebbe una infinità di occasioni di colloquio con l’illustre vicino di banco. Di quei colloqui, oltre al racconto di alcuni episodi di vita privata della sua gioventù, ricordo le spiegazioni “dall’interno” del nuovo regolamento della Camera di cui lui era stato artefice, insieme ad Aldo Moro, negli anni precedenti: un regolamento funzionale al regime sostanzialmente consociativo costruito da Dc e Pci, in un contesto che non consentiva il loro alternarsi al governo del Paese. Ricordo anche il suo racconto della vicenda soffertissima del ’56, quando per decisione fermissima di Palmiro Togliatti il Pci si schierò in difesa dell’invasione sovietica dell’Ungheria; e Ingrao non fece la scelta di Antonio Giolitti di lasciare il partito, ma per questo perse il sonno.

Ricordo infine questo: che mentre io cercavo di far parlare lui della storia del Pci, lui cercava sempre di far parlare me delle cose infinitamente più piccole di cui mi ero occupato negli anni precedenti nella Cgil, o di cui mi occupavo in quegli anni come membro della Commissione Lavoro; e mostrava su di esse un interesse non solo di cortesia. All’epoca conducevo battaglie a tratti dure, in seno al Gruppo e nella Cgil da cui provenivo, per il riconoscimento legislativo del part-time e del lavoro temporaneo tramite agenzia, ma soprattutto contro il monopolio statale del collocamento: a queste mie battaglie si riferiva il compagno deputato Emilio Pugno, capo-operaio della Fiat, quando mi diceva “tu sei l’ala destra, ma non del Partito, della borghesia”. Invece Ingrao, che pure non aveva simpatie per le ali destre di alcun tipo, lesse con interesse quello che stavo scrivendo su quei temi e fu lui a presentarmi a Barcellona, Pietro anche lui, perché gli proponessi la pubblicazione nella collana allora da lui diretta presso l’editore De Donato di quello che nel 1982 sarebbe diventato Il collocamento impossibile: il libro che l’anno successivo avrebbe causato la perdita da parte mia del seggio parlamentare.

Può apparire strano, ma da quei quattro anni di vicinanza ho tratto l’immagine di una persona appassionatamente di sinistra, certo, ma anche profondamente liberale, almeno per quel che riguarda il mondo delle idee.

Tratto dal sito di Pietro Ichino che ha dedicato questo articolo a Ingrao in occasione del suo centesimo anniversario, 30 marzo 2015 (qui le foto di Umberto Pizzi dell’evento)

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