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Chi ha dato alle regioni le armi per fare la guerra ai governi

Ha ragione Michele Arnese a censurare i comportamenti degli esponenti che guidano le Regioni, sia a livello di assemblee che di esecutivi, che indossata la tuta di sindacalisti decretano nella conferenza dei presidenti dei consigli regionali e in quella Stato Regioni di dare corso ad alcuni referendum, per rendere vani specifici provvedimenti di carattere economico e nel settore dei servizi del governo centrale, come se la Regione fosse controparte e non  “parte di un tutto organico” rappresentato dallo Stato. Tant’è purtroppo.

Infatti, non a caso il governo italiano aveva sempre proceduto in passato con ragionata prudenza, proprio per evitare spiacevoli e confusi conflitti di attribuzioni tra Stato, Regioni e in qualche caso anche enti locali.

La legge statale 616/1977 che riguardava la delega delle funzioni decentrate alle Regioni chiariva bene cosa veniva attribuito alle Regioni e ciò che restava allo Stato, chiamando in causa talvolta anche Comuni e Province. Si guardava agli articoli della Costituzione 117 e 118 per le funzioni, 119 per la finanza e 122 per la legge elettorale, così come originariamente scritti dai padri costituenti. Con la legge del 1977 si avviò in sostanza un processo ordinato di decentramento amministrativo che doveva gradualmente continuare fino a trasferire totalmente le materie di competenza regionale.

Fu eletto, arrivando in Senato nel 1987, un certo Umberto Bossi, il senatur lombardo. Inizia in Italia una nuova storia perché si crea un forte sodalizio tra Bossi e il prof. Miglio, ideatore e propugnatore di una proposta di riforma dello Stato a carattere spiccatamente federalista. Sulla base di queste idee nasce la Lega Nord con segretario Bossi e ideologo Gianfranco Miglio.

Il loro movimento politico conquisterà un successo inaspettato nel 1992, in coincidenza con le vicende giudiziarie di “tangentopoli”, presentandosi come alternativa ai partiti storici sotto processo. E da questo momento la Lega verrà corteggiata, diventando protagonista del sistema politico, sia dal neofita Berlusconi che dalla sinistra ex-comunista.

Il “federalismo” diventa la parola magica, e tutti a riempirsi la bocca del nuovo termine. Bossi avrà nel 1993 una breve collaborazione con il centrodestra guidato da Berlusconi, che lascerà dopo pochi mesi. Il governo sarà affidato a Dini che presiederà un esecutivo tecnico. Le elezioni successive del 1996 saranno vinte dall’Ulivo col PDS primo partito.

Franco Bassanini, ex ministro degli Affari regionali, facendosi contagiare dalla sbornia leghista vara i primi provvedimenti, che cambieranno il volto dell’assetto istituzionale dello Stato italiano, ponendo le basi per importanti ma pericolose correzioni degli articoli della Costituzione, che saranno definitivamente approvati dopo referendum confermativo con la legge n.3/2001.

Le nuove norme assegneranno alle regioni un ruolo legislativo primario, in linea con il “federalismo sussidiario e solidale”. Le stesse saranno motivo di innumerevoli contenziosi pendenti tuttora davanti ai giudici della Corte Costituzionale.

Per queste ragioni la protesta del presidente Emiliano in Puglia e di altri suoi colleghi è possibile, grazie ai compagni del già PDS che si immolarono sull’altare bossiano. Si tratta oggi di affrontare, dopo tante prediche inutili fatte di “parole magiche”, come federalismo, di cui oggi nessuno più parla, con serietà e applicazione tutta la materia che riguarda il potere legislativo e le competenze da assegnare alle Regioni, non valutando secondaria la prospettiva di ridefinire in generale ruolo, funzioni, competenze degli enti locali, soprattutto dopo aver sconvolto l’ordinamento delle province.

E’ indispensabile che lo Stato ritorni ad essere un “tutto organico” attraverso le sue articolazioni territoriali, pur in presenza di critici fattori della vita degli stati nazionali e in previsione di riforme ab imis.


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