Il tour a Napoli della Bindi con alcuni esponenti della commissione antimafia, che presiede, ha scatenato risentitissime reazioni tra i napoletani. E’ d’obbligo fare un passo indietro.
Dopo la sua elezione a deputato europeo nella DC, voluta da Andreotti, Bindi inizia un’intensa attività politica nel Nord-Est, ricoprendo anche ruoli di vertice del partito in quell’area geografica. Il particulare che la pose all’attenzione degli elettori e degli iscritti democristiani fu il suo integralismo etico che sposò pienamente all’epoca di Mani pulite: violento e tagliente, che molti guardavano con perplessità e meraviglia, perché un cattolico vero non è mai giustizialista.
Si guardava in sostanza a questa giovane donna con preoccupata curiosità. Con la rivoluzione giudiziaria nel 1992-93 che mise fuori gioco i partiti storici, fu tra i primi a prendere le distanze dalla DC di Andreotti, Forlani, Gava.
Nacque poi il Partito Popolare di Martinazzoli, la Bindi vi aderì e da qui partì la sua scalata al potere, diventando addirittura ministro della Sanità nel governo D’Alema. Divenne, la Rosi, un punto fermo della sinistra, riconosciuta e rispettata, soprattutto nella sua Toscana, per la precisione Siena, dove nelle cose di potere si faceva valere. Non a caso perse lingua, occhi, orecchie nei ripetuti scandali della sanità della sua regione, per non dire delle vicende del Monte dei Paschi di Siena.
Le suspicioni, i dubbi del passato si chiarivano. Il suo integralismo etico era più di teoria che di prassi. Come i vari esponenti della sinistra usano la questione morale per far fuori l’avversario, così si comporta anche la Bindi, ormai organica a quel mondo, e solo per caso democristiana di brevissimo corso…
E allora cosa rispondere se la Bindi sostiene che il fenomeno camorristico a Napoli è costitutivo? Niente proprio, a mio avviso, lasciando cadere le dotte disquisizioni di carattere semantico, lessicale. Che la camorra a Napoli esiste è fuori di dubbio, non ci sono se o ma che tengono. Non ci voleva la Bindi per saperlo.
Dire però, dopo una breve gita in città, che la camorra è costitutiva dei comportamenti dei napoletani è fuorviante, e secondo me disonesto, perché si criminalizzano milioni di donne e uomini. Ci sono superficialità di giudizio nelle dichiarazioni rese, qualche mezza verità, un po’ di luoghi comuni. Sarebbe troppo presuntuoso esprimersi in modo definitivo su una realtà geografica, politica, socio-economica tanto complessa come è Napoli allo stato, depredata, anche dai governi di cui la Bindi ha fatto parte, di industrie e direzioni strategiche di importanti aziende a partecipazione statale, indispensabile ossigeno per la realtà economica e occupazionale nel napoletano.
A fine ‘800 l’on. Giuseppe Saracco presidente del consiglio dell’epoca, per debellare fenomeni delinquenziali al Comune di Napoli e camorristici in città, avvenuti dopo il colera del 1884, di cui scrive anche Matilde Serao nel bellissimo libro Il Ventre di Napoli, nominò una Commissione d’Inchiesta presieduta dal Senatore s, per avere un quadro più o meno completo sulle spinose questioni denunciate, anche da parte di certa stampa di sinistra come La Propaganda. La Commissione lavorò per mesi al fine di esaminare fenomeni di malaffare, deviazioni, infiltrazioni, connivenze. A conclusione delle indagini, individuati i fatti criminali, ben circoscritti, i responsabili furono denunciati. Superata la scandalosa contingenza la vita politica, amministrativa e sociale riprese. Napoli riconquistò il suo ruolo, recuperando dignità nazionale e internazionale, grazie alle nuove energie morali, culturali e politiche di ispirazione cattolica, liberale, socialista. Non basta quindi denunciare. Bisogna conoscere, analizzare, studiare con serietà di intenti proposte concrete per combattere e distruggere la criminalità, alta o bassa che sia.
La Bindi, farebbe bene, se vuole, a consultare il ponderoso e utilissimo volume dell’Inchiesta Saredo, unico vero studio sulla complessa società napoletana, per rendersi conto che cos’era e che cos’è la camorra a Napoli. Il titolo è: “Regia commissione d’Inchiesta per Napoli, relazione sull’amministrazione comunale”. Si accorgerà che non bastano due giorni per sostenere che la camorra è costitutiva dell’antropologia napoletana. E per sfornare sentenze.