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Chi ha vinto (e chi ha perso) con la rottura delle trattative sulla contrattazione

Ma i sindacati si sono accorti di essere diventati irrilevanti? O pensano ancora che ci sia qualcuno disposto a spaventarsi davanti a minacce fatte con una pistola caricata ad acqua?

E’ saltata la trattativa sul nuovo modello di relazioni industriali. La rottura – oltre a chiamare in causa il governo – rischia di rendere ancora più complicato il rinnovo dei contratti. L’ultima tornata contrattuale – come ha ricordato il recente Rapporto del Centro studi della Confindustria (CSC) – ha determinato, nel settore manifatturiero, una crescita delle retribuzioni reali pari al 4,6% nel triennio 2013-15, essendo state prese a riferimento previsioni di inflazione che si sono rivelate molto più elevate di quella effettiva. A regime – sostiene il CSC –  ’extra-costo annuo per le imprese è di 4,1 miliardi e comporta una netta riduzione della competitività, che indebolisce i bilanci aziendali e abbassa il PIL e l’occupazione.

Secondo le regole stabilite dai contratti stessi, lo scostamento tra inflazione prevista e inflazione effettiva andrebbe recuperato. Questo è un nodo che i prossimi rinnovi devono affrontare o, quanto meno, tenere in considerazione nello stabilire gli  aumenti retributivi o, al limite, nell’individuare delle misure compensative sul piano della valorizzazione della produttività.

Non dice nulla, al Trio Lescano incartapecorito che dirige le confederazioni, la metafora manzoniana dei polli di Renzo?

Quanto a Giorgio Squinzi, quattro anni or sono sconfisse il suo rivale, Alberto Bombassei, sulla base di un programma molto semplice e riassumibile in un sintetico slogan: ‘’Mai più un accordo senza la Cgil’’. Non gli ha fatto buon pro. Per fortuna che c’è il Sassuolo.

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‘’Ogni famiglia, quando nasce un bambino, lo vuole intelligente. Io con la mia intelligenza ho sofferto e mi sono rovinato tutta la vita. Spero solo che il mio bimbo sia stupido ed ignorante: coronerà così una vita placida diventando ministro’’. (Su-Shih, scrittore cinese: 1036-1101).

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Assistendo alle performance di Denis Verdini mi sono ricordato della prima (e unica volta) in cui ho ascoltato un suo discorso. Eravamo all’inizio della passata legislatura; il centro destra aveva stravinto le elezioni. Fu convocata, a Bologna, una riunione dei parlamentari del Pdl eletti in Emilia Romagna e in Toscana, alla presenza di Verdini, allora coordinatore nazionale. Gli intervenuti nel dibattito sollevarono alcuni problemi, tra cui l’esigenza di radicare la nuova e vittoriosa formazione politica nel territorio. Concludendo, Denis Verdini disse più o meno così: ‘’La politica è comunicazione; la comunicazione si fa a livello nazionale; noi abbiamo la fortuna di avere un leader (Silvio Berlusconindr) che è un grande comunicatore, pertanto non rompete le scatole e lasciate fare a Lui’’. Mi spiego, così, quanto sta avvenendo in queste settimane. C’è chi, andando avanti con l’età, fugge ai Caraibi con una ballerina; oppure, chi convola a giuste nozze con la prosperosa badante slava con grande rammarico degli eredi diretti che tramano per farlo interdire. Verdini, invece, si innamora dei ‘’comunicatori’’. Ieri di Berlusconi, oggi di Renzi.

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