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Vita e sicurezza a Vaprio d’Adda (e in Italia)

La vicenda tragica avvenuta qualche giorno fa a Vaprio d’Adda, in provincia di Milano, appartiene certamente alla cronaca nera. Il suo contenuto tuttavia va ben al di là dagli accadimenti, stimolando a pensare e ripensare il modo in cui oggi si concepisce la gerarchia tra alcuni valori antropologici fondamentali, etici e politici, come la vita umana, la libertà personale, la proprietà privata, eccetera.

La dinamica è nota e purtroppo ormai molto diffusa: un ladro s’introduce in una casa, un pensionato spara e lo uccide. Al solito la ricostruzione dei fatti non è semplice. Nello specifico non si sa se il delitto sia stato compiuto fuori o dentro la dimora. Pertanto è difficile valutare ad ora penalmente se si sia trattato di legittima difesa oppure di un eccesso della stessa. Ed è giusto che gli inquirenti cerchino di intendere bene cosa sia successo davvero quel giorno in quei torbidi lombardi.

L’analisi, a ogni buon conto, si sposta però dal singolo caso alla generalità del problema. In Italia abbiamo una legislazione molto debole sulla difesa personale e pressoché assente in fatto di difesa legittima dei beni di proprietà. La storia sarebbe lunga e ha una sua radice nell’uso della violenza di Stato perpetrata durante il fascismo, e nell’altissimo concetto di valore della vita umana, che giustamente è posto come superiore a ogni altro.

Non si può, ciò nondimeno, fare di tutte le erbe un fascio. Quando avviene un omicidio bisogna, fuori dalla peculiarità dell’evento, valutare dove stia il problema sociale che lo adduce, specialmente qualora si ripetano continuamente casi criminali come quello in questione.

Il punto è che in Italia si è accentuato il confine tra i cittadini, che hanno diritti e doveri, e i non cittadini che hanno soltanto diritti, tra cui quello sacro alla custodia esistenziale della loro vita, ma non quello all’illegalità libera da pena. Sarebbe facile spostare tutto astrattamente da un lato o dall’altro, considerando finito il concetto tradizionale di Stato chiuso o ritenendo che esso debba essere riaffermato in modo coercitivo contro gli stranieri e i criminali.

Importante è viceversa prendere atto, dal punto di vista politico, che il tasso di sicurezza cosciente sul territorio è calato terribilmente, che questo fenomeno sta diventando una psicosi di massa, la quale alla fine determinerà una crescita della violenza privata, conseguenza della sempre maggiore circolazione di armi tra individui che si corazzano contro altri mossi da odio, disperazione e impunità.

Oltretutto non si può fare a meno di osservare come tutti percepiscano un indebolimento dei diritti di cittadinanza e, cosa ancora più grave, la sensazione che la proprietà privata non sia ritenuta più intoccabile, non soltanto perché vi sono persone che non la rispettano proprio, non solo tra i non cittadini, ma perché la politica in senso generale se ne disinteressa totalmente, estromettendone il concetto tra quelli che definiscono i valori collettivi fondamentali.

Insomma è urgente ribadire alcuni principi etici che stanno alla base del nostro ordinamento giuridico democratico. In primo luogo che vi è un diritto all’autoconservazione della vita personale che non può essere continuamente falcidiato da cavilli legali. In secondo luogo che la proprietà privata è un bene comune, che si esprime nel diritto del singolo a non vedere violato il luogo dove vive e messa a repentaglio la propria tranquillità e quella dei suoi cari. In terzo luogo che lo Stato o si decide a garantire, attraverso l’uso legittimo – a mio avviso unico veramente legittimo – della forza il diritto pubblico che la persona ha di difendere se stessa e i propri beni privati, oppure bisogna assicurare le condizioni legali per una sicurezza fai da te, modello Far West.

La ricetta dunque è semplice: lo Stato stimi la tranquillità dei cittadini una priorità democratica sostanziale, qual è, garantendo con Polizia e Carabinieri maggiormente il controllo e le garanzie infrangibili dei cittadini, tutelando la loro esigenza di vivere sicuri nelle proprie abitazioni e città. E nel frattempo lo Stato tenga conto che la mancanza di questo compito primordiale e basilare delle istituzioni pubbliche non può essere fatto pagare a chi si difende, e giustamente, e non è tenuto ad avere la professionalità di un cecchino o il sangue freddo di un militare di professione.

Se non vogliamo finire a John Wayne, a Samuel Penkinpah e a Thomas Hobbes, o magari perfino a Suburra, è l’ora che ci muoviamo tutti per garantire la democrazia vera, quella integrale, in cui la vita di ogni persona, i suoi beni e il suo bisogno supremo di protezione, siano custoditi prima e al di sopra di tutto. Il resto se non fosse follia sarebbe insana e pericolosa superficialità.

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