Possibile che nessun editore si renda conto che restare on line e soprattutto sui social network, senza nuovi prodotti, è una garanzia di ricavi declinanti? Eppure il dibattito apertosi per il ruolo informativo di Facebook nelle ore più drammatiche del 13 novembre e il boom dei contatti in rete dopo i fatti di Parigi dimostrano che si impone una riflessione. Soprattutto alla luce dei dati di accesso Internet, che parlano chiaro.
I lettori abituali di quotidiani sul Web sono costantemente cresciuti dal 2009 fino al 2014, passando dai 10 milioni del 2009 (45,4% dell’utenza Internet di almeno 15 anni di età) ai 12,4 milioni del 2015 (40,7% dell’utenza Internet). Nel 2015 il loro numero è sceso leggermente per la prima volta dall’inizio delle misurazioni ma è presto per dire che si tratti di un’inversione di tendenza. Tuttavia, le alternative alla fruizione dell’informazione di attualità offerte dai Social Network e dalle App sono sempre più numerose e si può immaginare che abbiano iniziato a erodere una quota di attenzione dei lettori dai siti Web degli editori.
Gli oltre 100 siti d’informazione internettiani, analizzati dal recente studio Newsruption, possono essere suddivisi in quattro segmenti definiti sulla base del traffico espresso in numero di visite mensili. Nel segmento dei grandi siti d’informazione si trovano 5 testate mentre nel segmento dei siti minori ve ne sono 64. Il numero di visite mensili da PC è complessivamente calato del 15,6% ma questo non ha influenzato le quote di traffico dei quattro gruppi, che cambiano solo di alcuni decimali di punti. La concentrazione di traffico rimane quindi elevata e nel 46,1% dei casi si produce sui primi 5 siti (Repubblica.it, Corriere.it, Gazzetta.it, Ilfattoquotidiano.it, Fanpage.it), attratta da una produzione editoriale pari al 15% del totale delle 100 testate esaminate. Ansa.it si colloca all’ottavo posto dopo LaStampa.it e Ilsole24ore.com. E’ l’unica agenzia di stampa presente nei primi dieci posti, ed è tra le grandi testate tra le poche che non produce informazione sul portale a pagamento.
Il gruppo più ampio, composto dalle 64 con minor numero di visite mensili, offre circa un quarto degli articoli (il 25,2%) e raccoglie il 9,5% di attenzione. Le testate più grandi sono tutte dotate di almeno un’app per dispositivo mobile mentre solo la metà delle testate minori ne propone una ai propri lettori.
La comparsa sul Web dei siti d’informazione è cresciuta nel tempo a partire dal 1996 e ha visto due momenti di particolare fermento: la prima ondata, negli anni dal 1998 al 2001, ha visto la nascita di 36 testate, molte delle quali promosse da editori tradizionali, mentre la seconda ondata è caratterizzata (al 90%) da nuovi editori esclusivamente digitali, che non esistevano prima e fuori dalla Rete.
Ancora prima di Repubblica.it, nata appunto nel 1996, l’Ansa è l’unica testata nazionale ad essere di fatto on line da sempre, ma non ha mai goduto di questo vantaggio competitivo. E così si può dire anche per le altre agenzie di stampa italiane, Agi, Askanews, AdnKronos, Radiocor. Perché? Perché queste fonti primarie d’informazione, autentiche scuole di giornalismo per decine di migliaia di professionisti (chi scrive ha lavorato all’Ansa per 12 anni) non hanno mai venduto contenuti on line alternativi ai canali informativi canonici.
E’ possibile sopravvivere al dominio dell’informazione gratuita digitale, senza cambiare modello di business? La risposta è fin troppo scontata.
Come ho spiegato a chi mi abbia chiesto un parere e come ho scritto in Sboom e in Un nuovo lettore, un nuovo quotidiano, l’Ansa e le sue consorelle dovrebbero immediatamente fare tre cose. Incentivare la produzione ‘core’ del notiziario rendendola indispensabile per tutti i giornali, che, a causa delle riduzioni di organico, avranno sempre maggiore necessità di servizi di qualità già confezionati. Si tratta di un’operazione difficile ma indifferibile. Come seconda mossa, occorre provare un’operazione shock: oscurare tutte le informazioni sui social network (Facebook, Twitter etc). Che senso ha vendere un prodotto agli abbonati se poi chiunque navigando trova ‘pillole’ di informazione gratuita? L’informazione d’agenzia, come quella delle testate on line native digitali, deve puntare a diventare la ‘madre’ delle notizie, possibilmente in esclusiva. Altrimenti, oltre ai colossi che sono legati alla versione cartacea del quotidiano omonimo, c’è Google, la prima fonte d’aggiornamento in Italia su Internet. Non è un’operazione vintage o nostalgia, è una scelta obbligata.
Basta guardare al paradosso del sito Ansa.it. Bello, moderno e molto ricco, rappresenta un concorrente temibile (come dimostrano i dati di accesso) per tutti i giornali sul Web. Ma lo sarebbe ancora di più se diventasse, ad esempio, un portale esclusivamente di servizi televisivi a pagamento.
In conclusione, se vuoi informarti subito, anche e soprattutto in momenti drammatici come quelli che si stanno vivendo dopo gli attentati terroristici parigini, può bastare la rete con la sua immensa quantità di notizie gratuite: fermare questa consuetudine è impossibile. Ma se vuoi fare informazione di qualità in rete, devi farti pagare. Così come in edicola.