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Isis, le grandi religioni e le alleanze anti terrore

Mentre nel Mali si consuma l’ennesima tragedia terroristica, con tanto di sequestro di persone e di esecuzioni sommarie all’Hotel Radisson di Bamako, a livello più generale la questione della guerra al terrorismo è divenuta ormai il primo punto dell’agenda internazionale.
Il copioso intervento militare francese contro le roccaforti di Isis ha cambiato interamente lo scenario delle alleanze mondiali. Alla vigilia dei torbidi parigini, infatti, le relazioni tra Stati Uniti, Europa e Russia vivevano completamente della spaccatura tra Barack Obama e Vladimir Putin e dell’incapacità di costruire un vero asse Est-Ovest equilibrato e conveniente. Oggi, viceversa, il presidente russo ha completamente cambiato atteggiamento, innanzitutto proprio nei riguardi della Francia. Putin ha promesso una collaborazione con Francçois Hollande, dandogli la possibilità di potersi coordinare con la marina russa.

È chiaro che la ritorsione francese contro lo Stato islamico avvicina la politica europea a quella russa, principalmente per quanto riguarda la guerra al nemico comune.
Il reale nodo è costituito però dalle relazioni diplomatiche di Mosca con Washington. Dopo l’incontro Putin-Obama sembra, da questo punto di vista, che un timido accostamento sia ormai all’ordine del giorno. E in tale direzione tutti i divergenti interessi condurranno la discussione sul destino della Siria, storico alleato della Russia, e del suo presidente Bashar al-Assad, storico nemico degli Stati Uniti.
Per adesso la campagna contro i dissidenti siriani, che vede impegnate le forze armate russe, non sta dando risultati definitivi, e Obama ha, a più riprese, ammonito che lo Stato siriano può essere salvato solo con una transizione che preveda il superamento dell’attuale regime, ipotesi non negata ormai neanche dallo stesso Assad.

Quello che colpisce, nel bene e nel male, è la risolutezza della linea di Putin. Da un lato egli si è fatto interprete della reazione più dura contro il fondamentalismo terroristico, anche a seguito dell’attentato aereo di cui è stata riconosciuta la paternità al Califfato, ma dall’altro è evidente anche che la sua scelta muscolare aprirà certamente a un accordo strategico molto forte con l’Occidente, bisognoso da par suo di trovare nella Russia un ‘amico’ indispensabile per garantire sicurezza ed efficacia d’intervento.

Comunque si valuti la faccenda, molto in divenire in queste ore, lo scacchiere antiterroristico sta trascinando l’Europa in una guerra difficile e lunga, la quale al contempo finirà per tracciare inevitabilmente un nuovo fronte di relazioni allargate verso Oriente e Occidente.
Anche in questo caso si comprende molto bene l’importanza cruciale del Vaticano e del Giubileo che inizia l’8 dicembre a Roma. Papa Francesco non soltanto ha tenuto fin dall’inizio del suo pontificato a intrattenere relazioni diplomatiche molto aperte con Putin, ma è di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti di grandissimo successo. Roma diventerà così l’anello di congiunzione tra Est e Ovest, nel comune orizzonte cristiano dell’attenzione alla misericordia, ai poveri e agli ultimi del pianeta. Parallelamente anche l’Iran finirà per essere l’ago della bilancia delle complesse relazioni interne al mondo islamico.

L’elemento che lega tra loro questi due blocchi è il ruolo di ponte diplomatico che le autorità spirituali e religiose, cristiane e musulmane, possono avere in un frangente simile: causa di coesione interna, ma anche ponte interculturale e interconfessionale.
La guerra ormai è in atto. Non è possibile più fermarla. Proprio per questo, al fine di sconfiggere la violenza terroristica dello Stato Islamico, è quanto mai importante che la coalizione includa Russia, Europa, Stati Uniti e quanti più Stati arabi moderati possibili; ma è altrettanto fondamentale che a livello spirituale e religioso rimanga aperto un canale autorevole di dialogo tra Islam e Cristianesimo.
Francesco senza dubbio svolgerà sempre di più questo ruolo di apertura diplomatica e di lavoro per la pace. Sarebbe importante, nondimeno, che anche il governo di Teheran, oltre a rispettare gli accordi nucleari, facesse assumere un analogo atteggiamento e un medesimo ruolo all’Iran verso l’Occidente.
Se non è una guerra di religione, e non lo è, sono proprio le due grandi religioni, in definitiva, a doverlo dimostrare.

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