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Perché Hollande si smarca dal Fiscal Compact e dalla Nato

“Il patto di sicurezza prevale sul patto di stabilità”: nove parole sugellano la svolta sovranista della Francia, che ha considerato atti di guerra gli attentati della notte di venerdì 13 a Parigi, rivendicati dall’Isis. Questa dichiarazione del Presidente François Hollande non rappresenta solo l’epitaffio del Fiscal Compact, dacché rivendica il ritorno ad un assetto di potere in cui la politica non è ancella della stabilità finanziaria né il pareggio del bilancio pubblico il vincolo cui deve assoggettarsi: tutto il discorso pronunciato a Versailles, di fronte alle Assemblee parlamentari convocate congiuntamente in via straordinaria, indica una profonda rottura rispetto alle recenti tendenze politiche della storia europea: viene richiamato con forza sia il principio della sovranità dello Stato, sia quello dell’identità nazionale.

Non è dunque questione di pochi soldi, di una richiesta di deroga al principio pareggio di bilancio, come ingenuamente ha cercato di far credere il Presidente della Commissione Jean-Claude Junker che, per metterci una pezza sopra, ha subito dichiarato che “La Francia deve affrontare gravi atti di terrorismo e deve affrontare spese supplementari che non devono avere lo stesso trattamento delle altre spese” rispetto al Patto di Stabilità, aggiungendo che questo principio “vale anche per gli altri Paesi”.

Innanzitutto, per quanto riguarda la sicurezza nazionale, non serve “più Europa”. Anzi, l’Europa non c’entra affatto: il presidente Hollande non si è minimamente sognato di chiedere una riunione urgente del Consiglio dei Ministri della Unione a Bruxelles e, per paradosso, il suo richiamo esplicito al Trattato europeo è stato all’articolo 4, quello secondo cui: “In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”.

Ha citato il Trattato solo per rimarcare che in questo stesso si dichiara che l’Unione europea non ha alcuna competenza. In un unico contesto, il Presidente Hollande ha messo l’accento non solo sul controllo delle frontiere, quanto sulla cittadinanza: “È necessario che un cittadino francese, autore di attentato all’interesse nazionale o terroristico, si veda annullata la cittadinanza francese, sia che sia nato in Francia sia che la abbia acquisita.… Dobbiamo poter privare della sua cittadinanza francese un individuo condannato per aver attentato ai valori della Repubblica, anche se è nato francese, dal momento che beneficia di un’altra cittadinanza. Allo stesso modo dobbiamo poter impedire a una persona con doppia cittadinanza di tornare sul nostro territorio se rappresenta un rischio terroristico, a meno che non accetti di sottoporsi a controlli drastici”. Così facendo, sono stati richiamati tutti e tre gli elementi costitutivi dello Stato: territorio, popolo e sovranità, “superiorem non recognoscens”. Le procedure e le regolamentazioni europee dovranno essere riviste, in funzione delle esigenze di sicurezza dello Stato francese. Le esigenze della sicurezza nazionale prevarrebbero sulla lbertà di circolazione a livello europeo. Così, il Ministro degli interni Bernard Cazeneuve ha chiesto una riunione straordinaria del Consiglio giustizia e affari interni per rafforzare la lotta contro il terrorismo di Parigi e per discutere dell’intensificazione dei controlli alle frontiere.

Chi temeva che fosse solo la Gran Bretagna, con la minaccia di uscire dall’Unione europea, a mettere i bastoni tra le ruote di un ulteriore processo di integrazione, economica, politica e fors’anche militare con la creazione di un esercito europeo, che viene dolciastramente appellato “sovranità condivisa”, adesso deve fare i conti con la svolta francese: rimette in discussione convenzioni politiche, date per scontate.

Sul piano internazionale, infatti, c’è stata un’altra rottura: la Francia ha chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, di cui è membro permanente. Vuole discutere, da pari a pari, con gli quattro altri Grandi: Usa, Russia, Cina ed Inghilterra. Ed è anche per questo che il presidente Hollande non ha fatto invece alcun cenno alla attivazione della clausola dell’articolo 5 del Trattato istitutivo della Nato, che prevede la difesa collettiva in caso di attacco armato ai fini della attivazione della autodifesa individuale o collettiva. Quando, invece, ha richiesto la solidarietà europea ai sensi dell’articolo 42, comma 7 del Trattato, secondo cui “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”, lo ha fatto ancora una volta per sottolineare le competenze degli Stati membri. Le relazioni saranno bilaterali, tra Stati sovrani: il ruolo dell’Alto Commissario europeo per gli Affari Esteri e la Politica della Sicurezza sembra una volta di più un orpello burocratico.

Mani libere anche in occasione del G20 di Antalya, dove pure è stata ampiamente trattata la questione della lotta al terrorismo jihadista, con incontri al massimo livello, tra Vladimir Putin e Barak Obama: François Hollande non ha partecipato. La Francia ha intensificato i bombardamenti contro l’Is a Raqqa, in Siria, dove anche l’aviazione russa sta operando da tempo. Il presidente russo ha dato ordini alla flotta di cooperare con le navi da guerra francesi: ce n’è abbastanza per capire quanto il quadro delle relazioni internazionali sia in pieno movimento. Sembrano tornati i tempi di De Gaulle: questo è il secondo strappo.

Sulla strategia del presidente Hollande hanno sicuramente influito considerazioni di politica interna: se i sondaggi danno da tempo in ascesa Marine Le Pen ed il suo FN, la situazione di crisi ha restituito immediatamente all’ex-Presidente Nicolas Sarkozy un ruolo da protagonista: è stata una svolta a destra, da cui non si torna indietro, anche se molte voci dissonanti si levano a sinistra ed ancor più numerosi sono i dubbi sulle modifiche costituzionali che sono state preannunciate.

Forse ci saranno profondi i cambiamenti anche nelle politiche economiche e di bilancio: un richiamo così deciso alla prevalenza delle esigenze di sicurezza nazionale rispetto al Fiscal Compact sarebbe stato comunque eccessivo se fosse servita una deroga di qualche miliardo di euro, quanti ne occorrerebbero per procedere all’assunzione di un migliaio di poliziotti e alle spese dei bombardamenti aerei e di una spedizione navale di portata limitata in Siria. Potrebbe esserci in vista un aumento impressionante degli investimenti pubblici in tutta la filiera delle tecnologie, e non solo in quelle degli armamenti tradizionali. Si replicherebbe così la strategia dual-use americana degli anni Ottanta, per superare in un colpo solo anche i vincoli altrimenti derivanti dal divieto di aiuti di Stato all’industria. In un sussulto di colbertismo, potrebbe smarcarsi anche dall’impianto mercatista che permea il Trattato dell’Unione europea, secondo cui ogni intervento degli Stati nuoce comunque alla concorrenza: perché, se un Dio c’è, quello è il mercato. Reincarnatosi nel Fiscal Compact, impone il rigore di bilancio a qualsiasi costo, per assicurare la stabilità finanziaria, anche a costo di azzerare la crescita e di far salire la disoccupazione a livelli tali da mettere a rischio la tenuta dei partiti tradizionali: è un Trattato che ha ridotto gli Stati al rango di meri esattori degli interessi sul debito pubblico, ingigantito dalla crisi.

Siamo di fronte ad una fuga in avanti, su tutti i fronti. La Francia si è scoperta d’un tratto indifesa all’interno di fronte al terrorismo, paralizzata sul versante estero da una introvabile “unica voce europea”, consapevole della propria debolezza sul piano economico, visto che da tanti anni stenta di fronte alla pressione competitiva della Germania.

La pressione sulla pubblica opinione francese sarà mantenuta alta: non è più il tempo dei cortei rassicuranti sugli Champs Elisée, né delle coreografie ufficiali, come avvenne dopo l’aggressione a Charlie Hebdo e la strage all’Hypercacher. Rimangono le photo opportunity, memoria del tempo che fu.

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