Possibile svolta per il Regno Unito nella guerra al terrore. Londra, su spinta del proprio premier David Cameron, potrebbe presto unirsi ai raid aerei contro lo Stato Islamico in Siria. Una decisione che, per la stampa inglese, potrebbe dipendere dal fatto che, rispetto all’inizio del mese, l’atmosfera politica nel Parlamento britannico sia radicalmente mutata dopo la strage di Parigi. Ma, per alcuni osservatori, anche da ragioni di natura geopolitica, come alcune frizioni con Washington.
LA DECISIONE DI CAMERON
Downing Street, spiegava ieri il Times che per primo ha dato la notizia, sarebbe in procinto di lanciare l’offensiva finale nei confronti di Westminster, per convincerlo a dare il via libera ai bombardamenti contro i drappi neri entro Natale. Un’indiscrezione confermata oggi dallo stesso Cameron, in visita a Parigi proprio per discutere della minaccia jihadista e rendere omaggio alle vittime del Bataclan.
PARIGI CHIAMA, LONDRA RISPONDE
Durante l’incontro il presidente francese non ha nascosto il desiderio che il Regno Unito gli dia man forte nelle operazioni: i rispettivi Paesi, ha ricordato l’Eliseo, hanno “obblighi comuni” nella lotta contro lo Stato Islamico. Londra ha risposto positivamente, con un cambio di passo in parte già avvenuto nelle scorse ore. Ieri il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, aveva annunciato che il governo aumenterà del 30% i fondi destinati alla lotta al terrorismo. Una notizia che ha fatto da prodromo a quelle date da stesso Cameron, che ha scritto al Telegraph e detto stamane di aver proposto ad Hollande di utilizzare la base cipriota di Rafakrotiri, per aiutare l’aviazione francese impegnata nelle operazioni contro il Califfato, e un sostegno aggiuntivo per il rifornimento in volo.
LA SCELTA
“È da tempo – spiega a Formiche.net Paola Peduzzi, a capo della redazione Esteri del Foglio – che il premier britannico vuole andare in Parlamento per intervenire in Siria. Dopo l’elezione di Jeremy Corbyn alla guida del Labour ha rallentato, perché temeva una nuova bocciatura, come quella del 2013″ o, quella più recente, dell’inizio del mese, quando la commissione Esteri della Camera dei Comuni ha bloccato il suo piano di partecipare ai bombardamenti. “In queste settimane”, rileva però Peduzzi, “lo scenario è mutato”. “Alcune uscite infelici di Corbyn, che aveva detto che sarebbe stato meglio portare Jihadi John in tribunale, poi la notizia, ancora non del tutto confermata ma con una forte carica simbolica, che il boia britannico dello Stato Islamico potrebbe essere stato ucciso in un attacco mirato, hanno convinto la parte più moderata dei laburisti a cambiare idea su un intervento di Londra in Siria”. Ciò, prosegue, “ha convinto il premier inglese che oggi potrebbe avere i numeri necessari per far passare a Westminster la sua proposta”.
LA STRATEGIA
Se i conti dovessero tornare, il pressing di Cameron, sottolinea la stampa d’Oltremanica, potrebbe giungere già nei prossimi giorni, giovedì o comunque prima della pausa natalizia. Sentito dalla Bbc, Osborne ha confermato la volontà di Cameron di tirare in ballo anche la recente risoluzione dell’Onu per premere sul Parlamento a allargare l’attuale autorizzazione, che dal settembre 2014 consente a Londra di partecipare ai raid contro l’Isis solo in Iraq, ma non sul territorio di Damasco. “Downing Street”, ricorda Peduzzi, “è sempre stato uno dei più battaglieri nella lotta al jihadismo”. Come Parigi, anche Londra “ha un problema non di poco conto nella gestione interna delle comunità islamiche e degli effetti negativi che ne derivano, come i foreign fighter, e lo ha manifestato in una serie di discorsi molto ispirati, come quello in cui definì la lotta al terrorismo come la battaglia di generazione”. Per vincerla, Cameron punta a una strategia composita, basata sul sostegno umanitario ma anche su un intervento militare. “Il livello di allerta è alto anche nel Regno Unito”, rimarca la giornalista del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, “quindi Londra ha un interesse vero a non recitare un ruolo di secondo piano in questa guerra”.
I RIFERIMENTI
In queste ore il premier britannico prepara il terreno a questa svolta. E come ha svelato ieri il Times, è probabile che sia durante le consultazioni sia durante il suo discorso all’assise, Cameron faccia leva sul sentimento nazionalistico di Londra. Secondo Downing Street, la nazione e i suoi parlamentari dovrebbero iniziare a comportarsi come “Churchill e non come Chamberlain” se vogliono sconfiggere il jihadismo. Il primo usò fino alla fine l’arma della diplomazia per evitare la Seconda guerra mondiale, mentre il primo la condusse e la vinse. Un paragone forte, che Cameron potrebbe usare, spiega il quotidiano britannico, per comunicare che l’opposizione di sinistra di Corbyn all’intervento militare contro i drappi neri è simile alla politica di dialogo con i nazisti.
LE DIVISIONI CON WASHINGTON
Per lo storico ed economista Giulio Sapelli, la scelta di Londra si incastra un più vasto quadro geopolitico, che vede sempre più deteriorati i rapporti con Washington. “Continua ad esserci una divisione in Occidente. Assistiamo a una profonda asimmetria, che ricorda quella che negli Anni ’50 si è verificata nel Mediterraneo. Allora, nella regione, si osservava la fine dell’egemonia inglese e l’inizio di quella americana. C’era una divaricazione strategica tra Francia e Regno Unito da un lato e Stati Uniti dall’altro. Entrambi i blocchi ritenevano di avere la strategia migliore per ridimensionare l’influenza russa in Egitto. Come sappiamo, Il Cairo si legò agli Stati Uniti. Fu un periodo di grandi tensioni e divergenze, che si riverberò anche su vicini Paesi sunniti e segnò, per certi versi, l’uscita allo scoperto dello sciismo, fino ad allora piuttosto nell’ombra. Oggi uno scenario simile ritorna nel Mediterraneo e in Medio Oriente, come conseguenza di una divaricazione nell’alleanza angloamericana”. “Il Regno Unito”, rileva lo studioso, “ha deciso di giocare da solo a livello mondiale, non ascoltando gli americani sulla partecipazione all’Aiib, la Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture voluta dalla Cina. Una provocazione, se così vogliamo chiamarla, che si è spinta anche oltre, con Londra che è tra le capitali più attive nel chiedere l’accesso del renminbi tra le monete convertibili e di scambio”. Ora ciò “si riverbera anche sulla quantità e la qualità dell’impegno in Siria, dove la Casa Bianca frena perché nutre ancora forti dubbi sul futuro del Paese e la transizione, ancora non chiara, di Bashar al-Assad“.
UNA RELAZIONE ANCORA SPECIALE
Una tesi, quella di Sapelli, che non trova del tutto concorde Paola Peduzzi. “Credo che la special relationship tra i due Paesi sia ancora solida, nonostante i tanti dossier che li dividono. Londra si sente poco protagonista sullo scenario globale e Cameron ha il desiderio di riportare il Regno Unito al centro del mondo. Sulla lotta al jihadismo subisce pressioni forti dei propri apparati di difesa. E poi non bisogna dimenticare che Oltremanica le ferite dello scorso conflitto iracheno sono ancora vive”. Tuttavia, rimarca, “su un piano generale c’è ancora sintonia, almeno per il momento”.