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Corte Costituzionale, il contropiede di Renzi e l’autogol di Brunetta

Questa volta gli amici di Matteo Renzi a Palazzo Chigi hanno esultato sfogliando i giornali, in particolare i due – La Stampa e la Repubblica che compulsano da qualche settimana un po’ per continuare a consolarsi della linea di Mario Calabresi, a Torino, e un po’ per verificare o prevedere che cosa potrà accadere fra un mese, quando lo stesso Calabresi si insedierà alla direzione dell’ostico giornale fondato una quarantina d’anni fa da Eugenio Scalfari, e condotto in questa coda festiva del suo mandato da Ezio Mauro.

Allarmati dalle accresciute distanze fra la Repubblica di carta e il presidente del Consiglio proprio dopo l’annuncio del cambio di direzione, avvenuto con il dichiarato “fastidio” di Scalfari, i collaboratori e tifosi di Renzi hanno goduto, diciamo così, nel vedere riconoscere al loro capo da Stefano Folli la capacità di dare il meglio di se stesso nelle difficoltà della Corte Costituzionale.

BARBERA, MODUGNO E PROSPERETTI. LE FOTO DEI 3 NUOVI GIUDICI DELLA CONSULTA

Eppure da lunedì, all’indomani del raduno renziano alla Leopolda fiorentina, il notista della Repubblica era stato sempre più urticante con il presidente del Consiglio, criticandone gli “slogan senza tempo sul futuro”, i troppi attacchi ai giornali critici, la natura “plebiscitaria” e personalistica del referendum che sta preparando per l’anno prossimo sulla riforma costituzionale, l’inseguimento di un’eterna campagna elettorale e via di questo passo.

Ora invece Folli ha riconosciuto a Renzi, sia pure spintovi in qualche modo da un’autorete del capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, di avere finalmente risolto con “la strategia del contropiede” il problema sempre più clamoroso e scandaloso dei vuoti creatisi alla Corte Costituzionale con la scadenza di ben tre dei cinque giudici di designazione parlamentare. Che vanno eletti cioè della Camere in seduta congiunta, con la maggioranza qualificata della maggioranza dei tre quinti dei componenti del Parlamento.

Sono infine risultati eletti, alla 32.ma votazione per il giudice scaduto da più tempo, il costituzionalista Augusto Barbera, targato Pd, il costituzionalista Franco Modugno, targato 5 Stelle, e il professore Giulio Prosperetti, targato politicamente come centrista, candidato da tutti i fuoriusciti da Forza Italia. Il candidato forzista Francesco Paolo Sisto, contestatissimo dai grillini come uno degli avvocati di Silvio Berlusconi, è rimasto invece a piedi, Ma a forargli le gomme erano stati, prima ancora dei grillini, i suoi stessi colleghi di partito, non votandolo compatti per un’infinità di volte nel segreto dell’urna, quando ad appoggiarlo erano anche i parlamentari del Pd, al netto naturalmente –anche loro- di qualche cosiddetto franco tiratore.

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In una situazione del genere, quando cioè la prudenza avrebbe dovuto consigliargli una certa misura, il capogruppo Brunetta ha voluto aumentare il fuoco contro Renzi e il suo governo, contestandone durante nell’aula di Montecitorio le comunicazioni sulla politica europea ed estera, e inseguendo i grillini sulla strada della mozione di sfiducia, prima contro la ministra Maria Elena Boschi e poi contro il governo intero per l’affare, o malaffare, della Banca d’Etruria e dintorni.

A quel punto Renzi ha dato a Brunetta quel che, francamente, si era meritato, e che dietro le quinte gli stanno contestando parecchi colleghi di gruppo e di partito, pare anche Berlusconi in persona. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha chiuso la partita della Consulta direttamente con i grillini facendo eleggere il loro Modugno. Che non farà forse volare la Corte Costituzionale nel blu dipinto di blu, come cantava il più celebre e indimenticato Mimmo Modugno, peraltro passato per un po’ pure lui nelle aule parlamentari grazie ai radicali di Marco Pannella, ma non farà sicuramente peggio di tanti altri giudici che lo hanno preceduto.

Lo “spiazzamento degli avversari con una mossa abile e non priva di implicazioni politiche ancora da esplorare” ha costituito per Folli “un successo” di Renzi. Un successo “tardivo ma netto”. Quel tardivo avrà forse fatto felice Scalfari, ma i renziani possono accontentarsi lo stesso ricorrendo al famosissimo “meglio tardi che mai”.


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