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Vi spiego perché l’Europa è messa in crisi da Putin. Parla Pelanda

L’Unione europea vive forse una delle fasi più concitate dalla sua nascita. Ultimo in ordine di tempo, e forse più spinoso dei temi, è quello che sta dividendo Roma e Berlino. Sarebbe stato il gas, e in particolare il raddoppio della pipeline North Stream, l’elemento scatenante della posizione italiana (di Palazzo Chigi, più che della Farnesina) di aprire un dibattito politico sulle sanzioni alla Russia per la crisi ucraina e fermarne il rinnovo automatico di sei mesi.

L’Italia è irritata per la condotta dei vertici dell’Unione che da un lato hanno deciso di abbandonare South Stream, un altro progetto di gasdotto che avrebbe collegato la Russia all’Europa e del quale Eni era uno dei maggiori investitori; dall’altro concedono il potenziamento di un altra infrastruttura energetica – North Stream, appunto – sostenuta dalla Germania. Ma a infastidire Palazzo Chigi non sarebbe solo l’operato della Commissione, ma anche il “doppiogiochismo” di Angela Merkel che è dura sulle sanzioni ma fa affari con Mosca anteponendo i propri interessi economici al bene comune. Questo, e altri dossier che in questi giorni dividono gli Stati membri, sono stati affrontati nel corso del Consiglio europeo tenuto ieri e oggi a Bruxelles e hanno confermato le divisioni della vigilia, con i leader di Italia e Germania che si sono lanciati messaggi incrociati.

Quali sono le ragioni profonde delle tensioni tra Italia e Germania? Perché l’Europa è sempre più divisa e non riesce a trovare il suo posto nel mondo globalizzato? Vladimir Putin sta riuscendo a mettere gli Stati membri l’uno contro l’altro? E cosa aspetta il Vecchio Continente nei prossimi anni?

Sono alcuni dei temi analizzati in una conversazione di Formiche.net con Carlo Pelanda (nella foto) coordinatore del dottorato di ricerca in geopolitica e geopolitica economica dell’Università Guglielmo Marconi di Roma ed editorialista di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza. Da novembre è nelle librerie un suo nuovo lavoro: Nova Pax (Franco Angeli editore).

Professore, Matteo Renzi ha fatto bene a fermare il rinnovo automatico delle sanzioni a causa dell’atteggiamento di Berlino?

Il nostro premier ha dato giustamente un segnale che l’Italia c’è, ma avuto una reazione un po’ scomposta a un tema che non è singolo, ma strutturale. La colpa di quanto accade, tuttavia, non è sua. Lui reagisce come può a una situazione complessa che ricorda il primi del ‘900.

Cosa succede tra Italia e Germania?

Bisogna inquadrare le tensioni attuali, compresa quella sui gasdotti, in un contesto generale. Succede che tutte le alleanze che l’Italia ha avuto fino a pochi anni fa – rapporti con la Nato, l’Europa, gli stessi Stati Uniti – non riescono più ad essere un moltiplicatore della nostra forza nazionale.

Che cosa c’entra con la questione energetica?

Dopo l’implosione dell’Unione sovietica non siamo stati in grado di ridefinire le nostre alleanze, per una serie di ragioni. È la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale che siamo in questa situazione. Ciò non ci permette più di giocare quel ruolo di piccola-media potenza che abbiamo esercitato fino a non molto tempo fa.

Cosa dovrebbe fare, allora, Palazzo Chigi?

Avremmo innanzitutto bisogno di un Consiglio per la sicurezza nazionale che faccia dialogare le nostre componenti politica, economica e d’intelligence per trovare la strategia migliore a muoversi in un mondo che è molto mutato. Il nostro primo ministro non riceve istruzioni di lungo termine adeguate per perseguire i giusti obiettivi. Il paradosso è che l’Italia ha un’importanza geostrategica rilevantissima, ma i governi italiani non sono mai stati abituati a usare in modo attivo questa posizione. Abbiamo avuto per lungo tempo un atteggiamento passivo e ora cambiare non è semplice. Ma questa crisi di identità, chiamiamola così, non è un problema solo italiano.

È un problema europeo?

Anche Francia e Germania, seppur in modo meno forte, soffrono di questi problemi. Leggo da molte parti che gli Stati membri dell’Unione europea non sarebbero d’accordo su nulla. Io credo invece che siano tutti concordi sul fatto che, al momento, quella attuale è la massima integrazione che vogliono. Il problema energetico tra Italia e Germania ne è un esempio, ma se ne potrebbero fare molti altri. L’Ue ha perso la funzione per cui è nata, quella anti sovietica, e oggi fa fatica a conciliare gli interessi nazionali dei singoli Paesi.

Alcuni analisti sottolineano che in queste divisioni sia proprio Vladimir Putin a sguazzare, giocando a dividere ulteriormente l’Europa, come nel caso di North e South Stream.

La Russia è in profonda crisi. Cerca di attirare l’attenzione degli Usa perché non la escludano dal Ttip, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che la metterebbe nella morsa cinese. Gli Usa non sembrano però intenzionati a coinvolgere Mosca come partner occidentale e il Cremlino reagisce come può. In primo luogo spostando il baricentro delle tensioni nell’Est Europa, dove ha ancora un’influenza. Vale per North Stream così come per la crisi in Ucraina.

È impossibile per il Vecchio Continente trovare un interesse comune?

Il pungolo non può arrivare dall’interno. Se i singoli Paesi sono messi in competizione, ognuno andrà per conto suo. Solo una ragione esterna può portare alla coesione di tanti interessi nazionali, che pur continuando ad esistere e ad essere perseguiti, possono trovare un obiettivo condiviso. Il Ttip potrebbe assolvere a questo compito, perché l’Unione dovrebbe muoversi come attore unico nel dialogo con gli Usa, per tutelare il proprio benessere generale. In questo l’Italia può davvero essere determinante, approfittando anche della posizione debole della Germania, che ostacola l’accordo perché ricattata dai russi, che non vogliono esserne esclusi e che puntano, come detto, a tenere in piedi una loro piccola area d’influenza. Solo così l’Europa potrebbe anche recitare un ruolo come elemento equilibratore nei rapporti tra Washington e Mosca, aiutando quest’ultima ad essere un partner cooperativo per bilanciare la Cina.

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