Alla Feltrinelli di Largo Argentina, a Roma, la pila di volumi di ‘Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico’ di David Van Reybrouck sembra ostentata, più che esposta. D’accordo che il libro è edito dalla medesima Feltrinelli e che l’autore, come ricorda la fascetta, arriva da un best seller come ‘Congo’, ma quel titolo perentorio e torreggiante colpisce. Anche perché gli fanno ala ‘Ciò che resta della democrazia’ di Geminello Preterossi e ‘Dentro e contro’ di Marco Revelli, dedicato al populismo di governo (entrambi Laterza).
Viene da concludere che la democrazia è finita. Per lo meno, finita in libreria. Almeno una cinquantina i titoli sul tema usciti quest’anno, tra cui ‘La democrazia senza partiti’ di Damiano Palano (Vita e Pensiero), ‘Una sfida per la democrazia’ di Stefano Semplici (Rubbettino), ‘Democrazia e ignoranza politica’ di Ilya Somin (IBL), ‘Il giardino delle delizie’ di Anonymous (Enrico Damiani), ‘Che fai… li cacci?’ di Alberto Di Majo (Imprimatur), ‘Il mostro buono di Bruxelles’ di Hans Magnus Enzensberger (Einaudi), fino ai di poco precedenti ‘Democrazia sfigurata’ di Nadia Urbinati (Bocconi) e ‘La democrazia e i suoi dilemmi’ di Charles Taylor (Diabasis).
Certo, questo profluvio editoriale parte da un fenomeno reale, ma colpisce che siano l’editore-commerciante librario e il gruppo giornalistico-editoriale di riferimento della sinistra italiana a darle tanto fiato. Su Repubblica, nelle ultime settimane, Roberto Esposito ha parlato di “Processo alla democrazia”, Ilvo Diamanti de “La controdemocrazia”, Van Reybrouck è stato omaggiato di un’ampia intervista, mentre sull’Espresso Michele Ainis ha spiegato “Di cosa è malata la democrazia economica” e il direttore Luigi Vicinanza ha avvertito: “Settant’anni dopo, democrazie in pericolo”. Sempre sull’Espresso, di recente, nel reportage “Capolinea democrazia” sono stati ricordati i saggi di Raffaele Simone ‘Come la democrazia finisce’, quelli di Van Reybrouck e Preterossi e soprattutto di Luciano Canfora. Il “critico militante” (come è stato definito), da buon classicista, parte da Tucidide, Pericle, ‘Giulio Cesare il dittatore democratico’ e ‘L’occhio di Zeus. Disavventure della democrazia’, per arrivare ai nostri giorni con titoli senza mezzi termini come ‘Demagogia’ e ‘La trappola. Il vero volto del maggioritario (Sellerio), ‘La maschera democratica dell’oligarchia’, ‘Critica della retorica democratica’, ‘Esportare la libertà. Il mito che ha fallito’ e ‘La democrazia. Storia di un’ideologia’ (tutti Laterza).
Canfora e l’altro celebre e critico studioso della crisi democratica, Gustavo Zagrebelsky, sono amatissimi dal gruppo di Carlo De Benedetti. Repubblica ha dedicato all’ultima fatica del costituzionalista (‘Moscacieca’, Laterza) un’ampia anticipazione, intitolata: “L’insostenibile stanchezza della democrazia”. Stessa attenzione peraltro riservata con l’articolo “La democrazia e il suo incerto avvenire” a ‘Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà’ di Massimo L. Salvadori (Donzelli). Sull’Espresso, Eugenio Scalfari ha preso spunto nella sua rubrica da Canfora, per avvertire che “una democrazia perfetta non esiste”, e che è “Meglio un’oligarchia del leader solitario”. Scalfari la prende alla lontana, non cita Matteo Renzi ma Platone e Montesquieu, però il senso pare chiaro: tornare alla prima repubblica, piuttosto che avere un premier decisionista tanto indipendente dal suo partito.
La crisi democratica, ripetiamo, è oggettiva, tra sfiducia verso partiti e istituzioni, dominio economico-finanziario, crescente astensionismo, difficile compatibilità tra sicurezza e libertà civili, assillante burocrazia europea, usura elettorale (la Grecia ha votato nove volte in sei anni) e dell’alternanza (vedi il caos spagnolo), democrazie autoritarie come la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin (ben descritta da Gennaro Sangiuliano per Mondadori in ‘Vita di uno zar’). Ma, ripetiamo anche qui, colpisce come a occuparsi della questione sia in particolare la sinistra, in passato sempre protagonista nei cortei e sulle barricate per la difesa democratica. Un po’ come quelle persone che, interessandosi ai problemi di salute altrui, prefigurano le esequie del malato e la spartizione dell’eredità, i tycoon della cultura progressista paiono porsi già una domanda, peraltro legittima: se le istituzioni liberali parlamentari sono davvero finite, chi e cosa arriveranno a sostituirle?