Un discorso alla Nazione senza (quasi) accenti elettorali, ma con qualche frecciata all’opposizione repubblicana, sul controllo delle armi, e ai candidati repubblicani alla Casa Bianca, sull’istigazione all’odio contro l’Islam. E un rifiuto delle scelte del suo predecessore George W. Bush.
La distruzione del sedicente Stato Islamico è un obiettivo comune, condiviso dagli alleati e pure dalla Russia, ma per raggiungerlo gli Stati Uniti non si faranno coinvolgere di nuovo in una guerra sul terreno: nel suo terzo “discorso a reti unificate” – diremmo noi – dallo Studio Ovale, domenica sera (ora di Washington, le due di notte in Italia), il presidente Barack Obama non ha nascosto ai suoi cittadini la gravità della situazione e le sue preoccupazioni, ma ha fatto un netto distinguo tra l’Islam e i “criminali assassini” delle milizie jihadiste, che “sono parte di un culto di morte e solo una minuscola frazione di oltre un miliardo di musulmani nel mondo”: questa – ha ribadito – non è una guerra tra l’America e l’Islam, ammettendo però la radicalizzazione di alcune comunità musulmane.
E il presidente ha, per l’ennesima vola, invitato il Congresso ad agire per limitare la vendita delle armi, almeno a chi è già sospettato di terrorismo, è già sulle “no fly list”, cioè è considerato troppo pericoloso per salire su un aereo di linea.
Il messaggio di Obama si può sintetizzare in un intreccio di messe in guardia (“La minaccia del terrorismo è reale” e “s’è evoluta”) e di ottimismo: “Lo sconfiggeremo”, perché “siamo dalla parte giusta della storia” e perché “la libertà è più forte della paura”. Nessuna polemica diretta, ma un auspicio e un invito alla Russia perché “si concentri sull’obiettivo comune, la distruzione dell’Isis”, come a dire piuttosto che sulla difesa del regime di Bashar al-Assad in Siria.
Il presidente è partito da un’ammissione, che la strage di San Bernardino in California, mercoledì scorso, è stata un atto di terrorismo, anche se non vi sarebbero prove di collegamenti della coppia killer con organizzazioni terroristiche, e da un richiamo al fatto che la sua più grande responsabilità, come presidente e come comandante in capo, è di “proteggere l’America”. E lui intende farlo senza che gli Stati Uniti rinuncino ai propri valori e senza che finiscano impaniati “in una guerra lunga e costosa in Iraq e in Siria”, con un passaggio che suona riferimento alla situazione in Afghanistan e, soprattutto, all’invasione dell’Iraq nel 2003, oltre che alle misure antiterrorismo del Patriot Act che, dopo gli attacchi all’America dell’11 Settembre 2001, autorizzarono la tortura e altre pratiche in deroga ai diritti umani.
Obama non vuole farlo perché “è quel che vorrebbero” gli integralisti jihadisti, pur essendo determinato a distruggere il sedicente Stato islamico e ogni altra organizzazione che minacci l’America e il mondo libero: “Vinceremo – ha detto – con la forza e l’intelligenza”, continuando a dare la caccia agli organizzatori di attentati ovunque sarà necessario, “arruolando” come alleate le comunità musulmane invece che allontanarle con il sospetto e l’odio (qui il passaggio può riferirsi alle posizioni espresse da alcuni candidati repubblicani alla Casa Bianca).
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