Per fortuna, e finalmente, Romano Prodi ha smesso di lacerarsi l’umore contando e ricontando i voti che gli mancarono quel maledetto venerdì 19 aprile 2013, meno di tre anni fa, per l’elezione a capo dello Stato. Dopo che quel pasticcione, a dir poco, dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani aveva lanciato la candidatura del professore emiliano nel modo più controproducente possibile: senza una regolare e chiarificatrice votazione nei gruppi parlamentari convocati in un cinema a due passi da Montecitorio, ma con un’acclamazione insincera. Tanto insincera che allo scrutinio successivo, e obbligatoriamente segreto, nell’aula della Camera gli mancarono ben 109 voti al raggiungimento dei 504 necessari all’elezione.
Da allora Prodi e amici, via via diminuiti, in verità, di numero e di risentimento, cercarono non solo di contare bene i cosiddetti franchi tiratori, convincendosi subito che erano stati ben più dei 105 o 109 inizialmente calcolati, ma soprattutto di dare loro un’identità di corrente. I più sospettati furono i compagni di Massimo D’Alema e gli amici dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi. L’uno tuttavia già fuori dal Parlamento perché rottamato come candidato alla rielezione dalla campagna condotta nel partito dall’altro, e subita da Bersani per quieto vivere.
Ora che, pago della ritorsione di non rinnovare da tre anni l’iscrizione ad un partito immeritevole di tanta generosità, e stanco comunque di fare e rifare i conti, Prodi ha ripreso il buon umore, bisogna riconoscergli onestamente il merito di essere tornato un eccellente battutista. Anche se i battutisti non piacciono al forse troppo intransigente Massimo Gramellini, che ne ha appena scritto sulla Stampa, pur non riferendosi a Prodi, per indicarli come una regressione dal ruolo di politici.
Intervistato e incoraggiato dal giornale sicuramente più antirenziano sul mercato, Il Fatto Quotidiano, l’ex presidente del Consiglio si è consolato orgogliosamente della rottamazione subita ad opera di Renzi, anche come aspirante mediatore di vertenze e conflitti in corso sullo scenario internazionale, dicendo, testualmente: “Se sono stato rottamato può voler dire che ero fatto di ferro. Se fossi stato di legno, mi avrebbero segato o bruciato, mai rottamato”. Ancora più rapidamente bruciato, potrei aggiungere a consolazione ulteriore di Prodi, se fosse stato di paglia.
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Come battutista, al pari di Walter Veltroni come romanziere e saggista, Prodi si è presa una rivincita pure su D’Alema: un altro che gli ha dato filo da torcere e fregature politiche negli anni del potere, e non riesce ancora a metabolizzare bene con efficace ironia la rottamazione praticata anche a lui da Renzi. Ancora adesso a D’Alema, quando parla o gli parlano di Renzi, tremano per indignazione i baffi ormai ingrigiti.
Un altro battutista eccezionale si sta rivelando rivelando Antonio Bassolino, sempre nel Pd e in polemica con Renzi, che sostenne come segretario nelle primarie ma ora non lo gradisce, a dir poco, come candidato a sindaco di Napoli.
Intervistato dal suo vecchio amico e compagno Luca Telese per Libero, Bassolino ha così risposto quando si è sentito riproporre l’immagine del “bollito” confezionatagli da vecchi e nuovi avversari o concorrenti: “Il bollito è un piatto prelibato”.
Ma debbo a Telese ancora di più, sempre a proposito di Bassolino, che a questo punto sarei ancora più tentato di votare se vivessi nella sua Napoli. Gli debbo, in particolare, la scoperta del motivo di quel modo particolare che ha Bassolino di parlare, e che avevo a torto attribuito alla scuola oratoria del suo vecchio leader di riferimento: Pietro Ingrao.
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Bassolino ha sofferto a lungo di balbuzie. Ricorda ancora l’angoscia con la quale rispondeva in classe a maestri e professori che lo interrogavano, terrorizzato dall’idea di incepparsi all’improvviso e di rimanere irreparabilmente senza parole.
Per guarirne egli non volle fare altro che trovare e imporsi una disciplina, senza ricorrere ad altri aiuti. Ne venne a capo definitivamente quando la passione politica e l’incarico di segretario di sezione del Pci gli imposero la pratica dei comizi in piazza. Ad uno dei quali il padre, abituale elettore liberale, nel senso del Partito Liberale di Giovanni Malagodi, assistette nascosto dietro un albero, ammirato e commosso sino alle lacrime. Dalle quali nacque poi anche la decisione di votarlo.
Hanno sofferto di balbuzie, uscendone, tali e tante celebrità, antiche e moderne, da Mosè a Esopo, da Demostene ad Aristotele, da Virgilio a Cicerone, da Manzoni a Napoleone, da Darwin a Newton, da Pio XII a Giorgio VI d’Inghilterra, da Marylin Monroe a Jiulia Roberts, da Italo Calvino a Woody Allen, che consiglierei a Renzi di andarci piano contro uno come Bassolino. Potrebbe farsi del male.