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Renzi e Boschi: chi di dimissioni ferisce, di dimissioni perisce?

Meno tasse, più sicurezza e più cultura: questo trinomio costituisce la cifra della Legge di stabilità all’esame del Parlamento. La ripresa è fiacca, l’offensiva delle opposizioni si sta ormai trasformando in una vera e propria campagna di odio contro i suoi ministri, ma Matteo Renzi sembra non curarsene e continua a fare professione di ottimismo. Alla sesta Leopolda fiorentina, appena conclusasi tra l’entusiasmo dei suoi sostenitori, ha promosso a pieni voti l’azione del governo. È stato un professore giusto con i suoi alunni? Ho qualche dubbio. La pagella da lui stilata è infatti piena di colpevoli omissioni e priva di un serio esame critico di questo scorcio di legislatura. Non discuto i meriti storici del “Royal Baby”, come lo chiama Giuliano Ferrara in un libro che gli ha recentemente dedicato. La vecchia classe dirigente del Pd è stata (quasi) azzerata; la Costituzione più bella del mondo e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non sono più dei tabù; poteri forti e salotti buoni, Confindustria e sindacati, radical chic e giustizialisti della sinistra d’antan sono stati (quasi) completamente rottamati. Tutto vero. La Leopolda del 2011 aveva fatto sognare. Ma nel passato biennio l’Italia è cambiata? Comparando le “cento idee” di allora con i risultati dell’azione di governo, non pare: il bilancio è magro. Mi limito a una sola osservazione, ma di fondo. Nel nostro Paese esistono ancora quelle che somigliano a due enclave di “socialismo reale”: la pubblica amministrazione e il Mezzogiorno. Non voglio certo fare il gufo, ma temo che la spinta propulsiva del renzismo sia destinata ad arenarsi se non riuscirà a smantellarle pezzo per pezzo. Finora non c’è riuscito.

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Può darsi che tutti gli obbligazionisti delle banche locali che hanno perso i propri risparmi, se meritano comprensione, non meritano un risarcimento. Dall’alto della mia ignoranza tecnica in campo finanziario, ho però il sospetto che il Pd rischi un tracollo elettorale in regioni da sempre cruciali per il suo consenso. Eppure l’esperienza dimostra (vedi la questione degli immigrati) che a Bruxelles il ruggito della pecora non paga.

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Mi sia consentito riproporre a chi legge una lettera al direttore apparsa sul Foglio di oggi: “Ho letto che oggi sono morto. Non dimenticate di cancellarmi dall’elenco dei vostri abbonati” (così Rudyard Kipling scrisse al giornale che aveva pubblicato la notizia del suo decesso). Invece del giochino sui titoli dei quotidiani imbastito alla Leopolda, fossi stato in Renzi avrei usato lo stesso sfottò verso quella “libertà di montatura” oggi praticata con impudicizia da certa stampa italiana. Maria Elena Boschi non se ne adonti. Come diceva Ennio Flaiano, da quando la menzogna è diventata accessibile a tutti la verità non significa più niente”. Claudio Cerasa mi ha risposto che, se decidi di invitare un ministro a dimettersi per ragioni di “opportunità” (caso Cancellieri, caso Lupi), un giorno saranno i tuoi nemici a pretenderlo. Devo ammettere che non ha torto.


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