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Trivellazioni, si sta perdendo un’occasione?

Il Governo Renzi ha scelto di regolamentare le estrazioni in mare inserendo nella Legge di stabilità un emendamento che da una parte ha il pregio di bypassare il referendum sullo Sblocca Italia, dall’altra contiene alcuni elementi che possono mettere in difficoltà il settore estrattivo e, soprattutto, il cospicuo indotto che opera a sostegno. Per spiegare meglio questo punto, utilizzo l’esempio delle aziende che operano nel distretto oil&gas ravennate, con cui mi confronto quotidianamente – fra le quali mi basta citare Rosetti Marino, Micoperi, Fratelli Righini, Bambini, Cosmi, Tozzi – e di cui registro le preoccupazioni. Ma lo stesso vale per le centinaia di imprese italiane che danno lavoro a oltre 20 mila addetti e producono un fatturato di 20 miliardi all’anno.

L’emendamento, questa è la principale preoccupazione, sta generando una grande incertezza sul futuro. In primo luogo perché l’emendamento potrebbe rafforzare le condizioni d’incertezza per chiunque voglia investire, che si tratti una società italiana o straniera. E in condizioni di incertezza gli investitori preferiscono guardare altrove. C’è, in sostanza, l’impressione che si stia perdendo un’occasione, perché l’Adriatico è ricco di opportunità di sviluppo, sia per le attività di prospezione e sviluppo, sia per la cantieristica, grazie alle operazioni a breve di chiusura dei pozzi non più operativi. Le aziende del distretto energetico che potrebbero beneficiare dell’attività di apertura e chiusura di pozzi di estrazione, hanno una lunga storia sono state costituite in gran parte negli anni 60’, quando si iniziò la realizzazione della prima piattaforma italiana in mare, la Ravenna 1, nel 1961. Oggi se ne contano più di 100 di piattaforme. Si tratta di realtà con competenze ed esperienza internazionali, di eccellenza: e, cosa più importante, danno lavoro a quasi 7mila persone (indotto compreso) con un impatto economico sui territori che è stimato attorno ai 3 miliardi di euro all’anno.

Cosa serve quindi perché questa ricchezza, questo patrimonio dei territori non vada dissipato?

Visto che molte regioni hanno rivendicato, appoggiando il referendum, il diritto a svolgere un ruolo attivo, ora devono dimostrare nei fatti che ne sono in grado, svolgendo un ruolo di primo piano nella definizione di quali investimenti possano essere autorizzati in tempi certi. È qualcosa che l’Emilia-Romagna ha fatto grazie all’accordo con il Mise per le estrazioni a terra, che verrà esteso a quelle in mare. Questa regione si sta muovendo anche perché, nonostante abbia deciso di non sostenere il referendum ‘no triv’, è una di quelle che certamente più di altre potrebbe subire un impatto negativo dello stop alle attività di estrazione. Il tutto, a differenza di quanto qualcuno ha affermato recentemente, la Croazia sta puntando sul gas naturale dell’Adriatico: basti pensare che sta attrezzando i porti di Rijeka e Ploce per accogliere la logistica portuale collegata all’offshore.

Gli effetti di questo emendamento, potrebbero produrre un effetto negativo sull’economia che in questo momento non ci possiamo permettere. E consoliderebbero l’idea che nel nostro Paese non vi siano regole chiare e stabili, che le disposizioni vegano cambiate di continuo adeguandole spesso a istanze emotive dei vari comitati che nascono per essere ‘contro’, o a ogni protesta su interessi particolari, più che a considerazioni di buon senso. Del resto, per restare alle estrazioni in mare, siamo di fronte al terzo cambiamento legislativo in 5 anni. Un fatto che non può che suggerire una considerazione: l’economia italiana pare ‘circolare’: incapace cioè di rigenerarsi senza aiuti esterni, dove le esitazioni o, peggio le incapacità della politica fanno tornare i progetti sempre al punto di partenza senza avere concluso nulla. Una cosa, lo sappiamo, che porta con sé enormi perdite di tempo e denaro.


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