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Ecco i veri piani del summit in Italia sulla Libia

Conto alla rovescia per domenica, giorno in cui Italia e Stati Uniti lanceranno a Roma una nuova iniziativa diplomatica per porre fine alla guerra civile in Libia. Tanto Palazzo Chigi quanto la Casa Bianca sono sempre più preoccupate dall’avanzata dello Stato Islamico e di altri gruppi jihadisti nel Paese nordafricano. Tuttavia, la crisi dell’ex regno di Muammar Gheddafi non dipende solo dai drappi neri e dalla lotta tra i due parlamenti rivali, Tripoli e Tobruk, ma s’intreccia con la necessità di ripensare i processi negoziali adottati sinora e raggiungere un delicato equilibrio tra potenze regionali, come l’Egitto, con cui Roma ha saputo tessere nel tempo un buon rapporto.

LA CONFERENZA A ROMA

Per trovare una sintesi, il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, e il segretario di Stato Usa, John Kerry, hanno convocato per il 13 dicembre una conferenza internazionale che avrà l’obiettivo di favorire un accordo per un governo libico di unità nazionale. Modellata sui negoziati sulla Siria a Vienna, la conferenza di domenica prossima, confermano fonti della Farnesina, includerà i ministri degli Esteri dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza – Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti – e le loro controparti provenienti da nazioni regionali con un’influenza significativa in Libia, come l’Egitto, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti.

IL PERICOLO ISIS

A incoraggiare il dialogo c’è la situazione economica del Paese, vicino al collasso per la ridotta produzione di petrolio, ma anche il rafforzamento dello Stato Islamico, che guadagna posizioni e potrebbe aver scelto proprio il Paese nordafricano come base per il Califfato, se le cose in Siria e Iraq dovessero andare per il verso sbagliato. L’Isis, scrive il Financial Times, “ha approfittato del caos per stabilire una roccaforte nella città costiera centrale di Sirte, diventato ancora più prezioso per il gruppo islamista come rifugio per i suoi combattenti in fuga i campi di battaglia del Medio Oriente”. A dimostrarlo c’è “un rapporto delle Nazioni Unite presentato al Consiglio di Sicurezza il mese scorso”, secondo il quale, al momento, la filiale dei drappi neri in Libia, “conterebbe fino a 3mila combattenti”, molti dei quali “collegati” allo scenario siriano-iracheno.

LA STRATEGIA DELL’ITALIA

Come si muoverà l’Italia per affrontare tutto ciò? Per Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra, la strategia italiana “di un accordo politico con le potenze regionali nella conferenza di Roma di domenica, a sostegno di un accordo tra libici mediato dall’Onu” è quella giusta. In una intervista, l’esperto spiega che finora, saggiamente, Roma non ha ceduto “alla moda europea di risolvere tutto con un po’ di bombardamenti”. Le parole di Renzi al Corriere della Sera “indicano una linea diversa: la forza è al servizio della politica, prima l’accordo e poi, se necessario, la forza di pace”. Mentre oggi, rileva, “Francia e Gran Bretagna vogliono un accordo purchessia, anche se il risultato sarebbe un governo libico debolissimo e che necessiterebbe di un forte sostegno militare occidentale”. Proprio pochi giorni fa i due governi hanno chiuso un accordo, ancora poco chiaro, che escludeva dai negoziati le Nazioni Unite, che dopo il chiacchierato Bernardino Leónaccusato di aver favorito per interessi personali una delle parti coinvolte nel complesso scenario libico – Tobruk attraverso la sponda emiratina –, si affidano oggi a un nuovo inviato speciale, Martin Kobler. Nonostante ciò, sottolinea l’analista, “è chiaro che all’interno della Libia non si caverà un ragno dal buco insistendo sul consenso dei due parlamenti che certo non vogliono autosciogliersi. Ci sono comuni e altre forze locali che hanno già firmato tanti cessate il fuoco locali e che potrebbero essere i protagonisti del prossimo accordo nazionale”.

UN MODELLO DA RIVEDERE

La tesi di Toaldo non è dissimile da quella di altri analisti, come Karim Mezran, senior fellow del think tank americano Atlantic Council. Per l’esperto di Libia e Medio Oriente, sentito da Formiche.net, “la conferenza avrà successo solo se riuscirà ad archiviare i negoziati Onu portati avanti sinora, completamente screditati dallo scandalo León, e ripartire da zero”. Fino a questo momento, spiega Mezran, “non tutti si sono sentiti inclusi nel processo per la costruzione di un nuovo Paese. Per questo ciò che serve è un grande momento in cui, col sostegno ma non la guida delle potenze occidentali, i libici possano azzerare i due Parlamenti e ritrovarsi per discutere dei principi generali e di un efficace bilanciamento di interessi per una nuova Libia. Se l’appuntamento nella capitale italiana non partirà da questa valutazione, servirà a ben poco”.

IL RAPPORTO CON L’EGITTO

“Molto” in questo processo, crede Toaldo, dipenderà anche dall’apporto di potenze regionali, come l’Egitto, “senza il quale sarà molto difficile raggiungere un accordo”.  In Libia, le due macro-fazioni che si contendono il Paese sono sostenute da un lato da Turchia e Qatar (Tripoli) e dall’altro da Emirati Arabi Uniti e proprio dal Cairo (Tobruk). In questo quadro Roma può essere sì un mediatore decisivo. Oltre a conoscere bene il mondo libico, l’Italia vive con l’Egitto una nuova stagione di relazioni geopolitiche, economiche ed energetiche, rese più solide dalla recente scoperta di Eni di un maxi giacimento sottomarino di gas nel campo esplorativo Zohr, al largo delle coste del Cairo. Rapporti non solo economici, ma anche politici. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, sin dal loro insediamento, hanno puntato strategicamente sul rapporto col Cairo e con il presidente Abdel Fattah Al Sisi per rafforzare la presenza e il ruolo italiano nel Mediterraneo. Sono stati diversi i colloqui nei mesi passati. Uno dei più rilevanti, secondo molti analisti, è avvenuto a marzo scorso, quando il premier, unico presente tra quelli dell’Unione europea, ha preso parte al Forum economico di Sharm el Sheikh.
Si è trattato allora del terzo incontro con il presidente egiziano dopo il viaggio-lampo al Cairo ad agosto scorso e la visita di Al-Sisi a Roma a novembre.


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