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Ecco la nuova strategia del Pentagono per combattere l’Isis

Il Pentagono e la Casa Bianca stanno cambiando strategia per contrastare l’avanzata dello Stato Islamico? Nonostante l’amministrazione Obama preferisca usare prudenza e sostenere il contrario vista la grande attenzione mediatica sul tema, gli obiettivi sul terreno e il dibattito in patria – sottolinea la stampa americana – sembrano dimostrare che qualche differenza inizia a vedersi. E sta portando a risultati positivi.

PIÙ SOLDATI A SUPPORTO

Probabilmente non si va incontro a interventi massicci come quelli del recente passato. Ma – spiega Military Times – nelle ultime settimane è parso chiaro che gli Stati Uniti puntano a inviare più truppe a sostegno dei locali che cercano di sottrarre ai drappi neri le città da loro conquistate.
Washington fornirà loro armi, munizioni, supporto aereo ravvicinato se e quando fazioni specifiche mostreranno progressi sul campo di battaglia.

I RAID PROSEGUIRANNO

Nel frattempo, attacchi aerei statunitensi continueranno a colpire le infrastrutture collegate alla produzione di petrolio, fonti di entrata di vitale importanza per l’Isis.

RITORNO AL PASSATO

Il nuovo piano, evidenzia il sito specializzato, prevede di combattere il gruppo terroristico come un nemico convenzionale, usando tattiche militari tradizionali, come manovre di guerra e logoramento. Una scelta confermata a ottobre scorso con la nomina del generale Sean MacFarland, più avvezzo a schemi di vecchio stampo e meno a operazioni chirurgiche condotte da forze speciali, rileva il colonnello dell’Esercito Usa in pensione Peter Mansoor, che ora insegna storia militare presso la Ohio State University. Questo approccio sostituisce quello dell’ultimo anno, soprannominato “Iraq prima strategia”, che è stato ampiamente criticato come inefficace, soprattutto dopo che i jihadisti dell’Isis hanno occupato a maggio la città di Ramadi. Al contrario gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno ora intenzione di confrontarsi con il gruppo estremista e la sua forza di circa 30mila combattenti colpendo le loro risorse e le loro roccaforti in Iraq e Siria contemporaneamente.

OBIETTIVI: LE ROCCAFORTI DI RAQQA E MOSUL

Nel mirino sono soprattutto le due città simbolo di Raqqa, in Siria, considerata la capitale de facto del sedicente Califfato, e Mosul, in Iraq. Con una strategia di accerchiamento e tenaglia, a Mosul (più difficile da conquistare) il piano prevede che l’esercito iracheno attacchi l’Isis da sud, mentre i Peshmerga curdi iracheni lo facciano da nord ed est. In Siria, invece, gli americani supporteranno le milizie amiche nel nordest (si ipotizza che Raqqa possa essere ripresa nella metà del 2016).
In un fronte secondario, l’esercito iracheno si sposterà ad ovest di Ramadi – capitale della provincia di Anbar recentemente bonificata -, verso la valle dell’Eufrate e il confine siriano.

ASSEDI E INSURREZIONI

Fondamentali sono i temi della presenza e del taglio di risorse e approvvigionamento ai jihadisti. I funzionari Usa sperano inoltre che, una volta che una forza d’invasioni arriverà nelle città occupate dai drappi neri, la resistenza armata scoppierà per le strade e contribuirà ad accelerare la sconfitta del gruppo estremista. Se cominciassero a indebolirsi e a non poter pagare i combattenti o fornire alcuni servizi essenziali che danno alla popolazione, rimarca, Aron Lund, un esperto di Siria del Carnegie Endowment for International Peace, alcuni di loro potranno facilmente essere neutralizzati.

COSA ACCADRÀ DOPO LA SCONFITTA DELL’ISIS

Resta il tema, non secondario, di cosa fare una volta che gli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi fossero sconfitti. Una delle ragioni della prudenza americana è stata, sinora, proprio questa. Le storie finite male, in questo frangente, non sono poche. Come quella in Libia, dove nel 2011, dopo un intervento per deporre il rais Muammar Gheddafi, la transizione non fu accompagnata a dovere, creando i presupposti per una guerra civile che prosegue tutt’ora, nonostante gli sforzi diplomatici in corso. Molto interessante, rilevano gli esperti, sarà vedere, ad esempio, chi prenderà città come l’irachena Mosul, patria di molti ex ufficiali baathisti del regime di Saddam Hussein. E alcuni veterani americani della guerra a Baghdad già avvertono: una fase di contro insurrezione non è da escludere dopo il crollo di una realtà come l’Isis.

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