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Eni, Saipem e Gazprom, che succede su Nord Stream 2

L’energia continua ad essere una delle armi più efficaci del Cremlino per dividere l’Europa e allontanarla di riflesso dall’alleato americano? “L’italiana Saipem – ha detto ieri Alexei Miller, amministratore delegato della Gazprom citato dall’agenzia Tass – è uno dei candidati al contratto di costruzione del gasdotto Nord Stream 2″. Dichiarazioni che seguono le tensioni nel Consiglio europeo del 17 dicembre scorso tra Matteo Renzi e la cancelliera tedesca Angela Merkel proprio sul raddoppio dell’infrastruttura; i colloqui telefonici sul tema tra Palazzo Chigi e Vladimir Putin; e la chiusura del ceo di Eni, Claudio Descalzi, a un ingresso, del colosso degli idrocarburi, come azionista nel progetto (ma non a nuovi e benvenuti contratti per la controllata). Anche perché, rilevano alcuni osservatori, come lo storico ed economista Giulio Sapelli, il dossier va maneggiato con estrema cura. Andiamo con ordine.

I DETTAGLI DELLA STAMPA RUSSA

La francese Technip, la svizzera Alleseas, l’olandese Royal Ihc e, appunto, l’italiana Saipem – scrive oggi Mf/Milano Finanza riprendendo il quotidiano russo Kommersant – sarebbero “i principali contractor stranieri che puntano all’appalto per la costruzione del tratto offshore del Nord Stream 2, il gasdotto tramite il quale il gigante russo Gazprom trasporterà metano direttamente in Germania passando attraverso il Mar Baltico e quindi senza i rischi connessi al transito attraverso l’Ucraina”. Il contratto per la realizzazione del gasdotto, aggiunge MF, “avrà un valore superiore a 4 miliardi di dollari e indica nel gruppo guidato da Stefano Cao come «il candidato che ha più probabilità di aggiudicarsi la commessa» in quanto ha già costruito la prima tratta del Nord Stream e ha partecipato al Blue Stream. Secondo quanto riferito dal quotidiano russo (tra l’altro controllato dalla holding Gazprom Media), i risultati della maxi-gara potrebbero essere resi noti entro fine gennaio”.

LE ULTIME SETTIMANE

Queste indiscrezioni arrivano dopo pochi giorni da quelle che lunedì 11 gennaio avevano reso noto un colloquio telefonico, avvenuto nel fine settimana precedente, tra il premier italiano e Putin, con l’obiettivo – raccontarono le cronache – di “proseguire il lavoro congiunto a beneficio dell’implementazione dei progetti energetici vantaggiosi per entrambi”. Ma soprattutto giungono a seguito di una polemica, tra Italia e Germania, proprio sul gasdotto. I lavori sulla pipeline, aveva raccontato il 15 dicembre il Financial Times, sono stati alla base della posizione italiana di aprire in sede comunitaria un dibattito politico sulle sanzioni alla Russia e fermarne il rinnovo automatico di sei mesi. L’Italia, evidenziò allora il quotidiano britannico, è irritata per la condotta dei vertici dell’Unione che da un lato hanno deciso di fare i rigorosi sulle misure economiche per la crisi di Kiev e abbandonare South Stream, un altro progetto di gasdotto che avrebbe collegato la Russia all’Europa e del quale Eni era uno dei maggiori investitori; dall’altro concedono il potenziamento di un’altra infrastruttura energetica – Nord Stream, appunto – sostenuta dalla Germania. Da qui la richiesta italiana alla Commissione, fatta durante il citato Consiglio europeo, di esprimere un parere sulla “uniformità alle norme europee” riguardo al coinvolgimento tedesco nell’infrastruttura. Poi, poco meno di un mese dopo, la notizia di un possibile coinvolgimento di Saipem.

IL RETROSCENA DELLA STAMPA

L’idea al momento in discussione, hanno scritto sulla Stampa Marco Zatterin, Luigi Grassia e Fabio Martini, sarebbe “uno scambio fra quote del gasdotto Nord Stream e azioni della Saipem. Un gruppo italiano entrerebbe nel capitale di Nord Stream mentre la russa Rosneft diventerebbe socia di Saipem, rilevando la partecipazione dell’Eni. Poi la russa Gazprom sarebbe felice di affidare alla stessa Saipem (diventata in parte russa) la posa dei tubi del raddoppio del gasdotto”. Alla base di questa possibile scelta, rilevò ancora il giornale diretto da Maurizio Molinari, ci sarebbero diverse ragioni. In primo luogo “Putin tiene molto a concludere perché ha necessità di assicurarsi vendite di metano sicure e durature in Europa”. E poi “l’Eni completerebbe in questo modo l’uscita dal capitale di Saipem che ha avviato con la cessione di una parte della sua quota alla Cdp”.

LA POSIZIONE DI ENI

Ma l’11 gennaio stesso, dopo la notizia dei colloqui tra Renzi e Putin e le indiscrezioni dei media, l’amministratore delegato del Cane a sei zampe Descalzi ha invece spiegato che “in Nord Stream l’ingresso di Eni nel progetto come azionista non è mai stato considerato. Non è all’ordine del giorno”. Per poi aggiungere: “Che Saipem possa lavorare come contrattista per Nord Stream ce lo auguriamo tutti. Ma escludo in questo momento, e anche per il prossimo futuro, una cessione di quote soprattutto a questi prezzi”. Conclusione del capo azienda di Eni: “Da un punto di vista strategico non siamo una società che fa trasporto di gas e petrolio se non per quello proprio”.

L’ANALISI DI SAPELLI

Ad ogni modo, spiega a Formiche.net Sapelli – dal 1996 al 2002 nel cda del Cane a sei zampe, dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei – il dossier va gestito con estrema prudenza anche senza che il Cane a sei zampe sia azionista del progetto: “Dal punto di vista economico ed industriale”, rileva, “Saipem avrebbe l’interesse a partecipare al raddoppio di Nord Stream. Si tratta di un’occasione in cui può mettere a frutto le sue straordinarie competenze, in un progetto destinato nei prossimi anni ad ampliarsi ulteriormente, perché rappresenterà la porta d’accesso alle risorse dell’Artico, quando gli effetti del cambiamento climatico consentiranno di sfruttarle in modo più agevole”. Contestualmente non vanno però sottovalutati, per Sapelli, l’aspetto geopolitico e gli effetti di un accordo simile condotto in autonomia. “L’attuale situazione sconsiglierebbe di fare questa operazione senza discuterne prima con gli Stati Uniti. Il momento è delicato e non dimostrare la necessaria fedeltà atlantica in un frangente delicato come quello delle sanzioni potrebbe nuocere gravemente all’Italia. Roma”, conclude, “può e deve essere invece un anello di congiunzione tra Washington e Mosca, ai ferri corti, e Berlino, che pensa di poter ballare da sola sia senza gli Usa, sia senza Bruxelles. Abbiamo le carte in regola per favorire questo tipo di dialogo che potrà sfociare, poi, anche in intese energetiche”.​

LA STRATEGIA DI MOSCA

Che le sirene di accordi con Mosca potessero seminare ulteriore zizzania in un Vecchio continente messo a dura prova dalla crisi economica lo avevano evidenziato a dicembre scorso alcuni diplomatici europei ascoltati dalla Reuters alla vigilia di quel Consiglio europeo che oppose Roma a Berlino, avvenuto dopo che l’Italia legò “l’estensione delle sanzioni contro la Russia al dibattito sul progetto di gasdotto Nord Stream di Gazprom”.
In teoria, spiegò allora l’agenzia, “l’Unione europea punta a un mercato unico dell’energia, basato sulle necessità dei 28 Stati membri. E dovrebbe anche essere unita contro la Russia nella difesa degli interessi dell’Ucraina, dopo l’occupazione della Crimea nel marzo del 2014″.
Mentre in pratica, “secondo alcuni ambasciatori, la compattezza dei Paesi dell’Unione è resa fragile dal desiderio della Germania di assicurarsi gas a basso prezzo, dall’interesse dell’Italia di sfruttare i nuovi ampi giacimenti di gas scoperti da Eni e dal timore di una predominanza russa degli Stati baltici e dell’Est”.
L’energia, rimarcò uno di loro coperto dall’anonimato, “resta ancora una delle armi predominanti dell’arsenale della Russia per ottenere influenza politica, dividere l’Europa e indebolire la posizione comune Ue su importanti questioni legate all’energia”.



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